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Liana Milella per “la Repubblica”
«Peggio la toppa del buco ». Esordisce così Caterina “Katia” Malavenda, avvocato, esperta di diritto dell’informazione, quando la si interroga sul ddl diffamazione che già questa settimana potrebbe approdare in aula al Senato.
Davvero? È da buttare pure questa volta? Di nuovo dopo 6 anni e tre tentativi andati a vuoto?
«No, qualcosa si può salvare. Eliminare il carcere per i giornalisti che diffamano è sicuramente un fatto positivo. Come la previsione che chi pubblica la rettifica non è punibile».
Tutto il resto? Compresa la rettifica che è una gabbia?
«La rettifica è uno strumento di civiltà, ma non a qualunque costo. Com’è stata congegnata è improponibile. Già con la norma attuale un quotidiano deve pubblicarla in testa di pagina. Con le nuove regole dovrà farlo pure «senza commento, senza risposta e senza titolo», indicando perfino il nome del giornalista “rettificato”».
Il web grida al bavaglio per l’obbligo di cancellare le notizie che diffamano. È possibile?
«È un modo per cancellare la memoria e soprattutto le notizie scomode. Senza che prima una sentenza lo abbia stabilito. È probabile, però, che i siti cancellino piuttosto che rischiare un processo».
Scompariranno centinaia di notizie?
«Un’impennata massiccia delle richieste comporterà un altrettanto significativa scomparsa di informazioni e dati».
Che c’entra distruggere le notizie con la diffamazione?
«Bella domanda, me lo sono chiesto anch’io leggendo il titolo della legge, in cui si parla di “diffamazione, ingiuria e condanna del querelante”. Non c’entra nulla. Bastava fermarsi qui e magari introdurre, accanto al diritto di rettifica, quello di aggiornare le informazioni, lasciando al giudice stabilire quando e su cosa debba cadere la mannaia della cancellazione ».
I direttori sono preoccupati perché anche poche righe anonime ricadranno su di loro. Esagerano?
«Hanno ragione. Il direttore online dovrebbe essere sempre collegato con il sito per controllare ciò che viene via via inserito. Quelli radiotelevisivi e del cartaceo rispondono di “scritti o diffusioni non firmati”, quindi anche di necrologi e di inserzioni. Appunto, “gli scritti”. Addirittura è stato introdotto un nuovo reato: quello del direttore che non pubblica la rettifica richiesta dal suo giornalista».
Tra gli emendamenti c’è quello di Casson contro le querele temerarie. È indispensabile?
«Certo. Oggi chi fa causa a un giornalista non rischia nulla, al più se perde paga le spese. Bisognerebbe prevedere invece che chi sbaglia paga, e se la lite è temeraria, chi l’ha promossa deve risarcire i danni».
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