FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Giordano Tedoldi per “Libero quotidiano”
Lontani i fasti della repubblica marinara rivale di Venezia, e ancora mezzo secolo fa primario centro portuale, Genova oggi è legata soprattutto alla Scuola genovese, «variegato gruppo» di cantautori di cui, tra l' altro, Bruno Lauzi era nato a l' Asmara, Gino Paoli a Monfalcone, Luigi Tenco a Cassine in provincia di Alessandria, mentre la canzone più famosa dedicata al capoluogo ligure, Genova per noi è stata scritta dall' astigiano Paolo Conte.
Della Scuola, liguri erano Umberto Bindi e il più famoso di tutti, Fabrizio De André, nato nel quartiere genovese di Pegli. Il rapporto, inevitabilmente di amore-odio, tra Genova e De André è indagato nel bel libro di Giuliano Malatesta La Genova di De André Giulio Perrone editore, 120 pagg., 15 euro, il cui intento «era quello di raccontare il percorso genovese di De André cercando di evitare le trappole sulle inquietudini del giovane Faber e le sue mirabolanti avventure nei meandri della città vecchia. Al contrario l' obiettivo è stato quello di provare a ricostruire, attraverso storie, amicizie, aneddoti e racconti, una sorta di affresco corale che tenesse assieme l' irruenza giovanile di De André e il racconto del clima culturale di un' epoca, di quella che fu a tutti gli effetti una città laboratorio».
l' emigrante
Si diceva del rapporto conflittuale che la città ha avuto e tuttora intrattiene con De André, mito ingombrante. Non è raro imbattersi in una gioventù che di Faber e delle sue canzoni non vuole più saperne, e che desidera emanciparsi anche da lui. «Genova è sempre stata una città affascinante», spiega Malatesta, «ma certo non facile. Una città verticale, per usare un verso di una poesia Giorgio Caproni, sempre in eterna lotta con gli spazi, labirintica, lamentosa, diffidente con i forestieri. De André se n' era andato come un emigrante qualsiasi, fuggendo da un luogo dove in quegli anni era più facile fare lo spedizioniere che non il cantautore. Ma Faber ha sempre considerato Genova casa sua, non solo il luogo delle sue radici e della sua giovinezza.
E probabilmente ha cominciato a rimpiangerla il giorno dopo che se ne era andato. E alla fine aveva anche deciso di tornare, come fanno quei marinai che dopo essere stati costretti a spendere tutta la propria esistenza altrove sentono il bisogno di lasciare andare gli ormeggi e di rimettere i piedi a terra».
Tutto è stato detto sul De André figlio dell' alta borghesia cittadina ma attratto dagli sconfitti: «I perdenti sono le persone che più mi affascinano. Per me dietro ogni barbone si nasconde un eroe. Solo queste persone dimenticate riescono, come dice il poeta Álvaro Mutis, "a consegnare alla morte una goccia di splendore"», scrisse sul suo diario. Né è mancato chi, come il compagno di scorribande giovanili Paolo Villaggio o, nel libro di Malatesta, l' amica Lorenza Bozano che apriva a De André e comitiva la sua villa di Sarissola, ha smontato il ritratto di un De André francescano: «Dicono che Fabrizio frequentasse solo i poveracci, ma figuriamoci. Era uno che se non si vestiva di bianco e di blu non usciva neanche di casa».
Sono noti la sua dipendenza dall' alcol, i rapporti turbolenti col figlio Cristiano, con il quale capitava di venire alle mani. Eppure in questa folla (eccessiva) di testimonianze più o meno leggendarie su Faber, è sempre rimasta un po' misteriosa Genova, che di quella leggenda è premessa e, come dice Malatesta, destinazione finale. È importante allora scavare nel nucleo morale della città, cosa che questo libro fa ottimamente, e nei suoi riti, come ad esempio  Duménega, la domenica, che dà il titolo a una canzone dell' album Crêuza de mä, e fa riferimento a un costume della vecchia Genova quando le prostitute erano relegate in un solo quartiere.
Tra i loro diritti c' era quello di uscire dal ghetto nei giorni di festa per la passeggiata domenicale nelle altre zone della città. In quella specie di processione venivano insultate e derise dai passanti.
DAL DIARIO Così ne scrive De André nei suoi diari: «Invece di una giornata d' aria diventava una sorta di calvario, che si fermava a Ciamberlin e che aveva le sue tappe in Cagnàn e anche alla fuxe, dove questo popolino bigotto, stronzo e represso diceva loro quello che non poteva dire loro di sabato, di giovedì e di lunedì».
DORI GHEZZI CON FABRIZIO DE ANDRE
Il popolino «bigotto, stronzo e represso» De André lo riconosceva sulle facce degli amici del padre o del fratello, affermato avvocato. E per irritarlo, quel "popolino", che pure accorreva ai suoi concerti, arrivava anche a sfregiare i suoi successi come la Canzone di Marinella, con una riscrittura fescennina che cominciava con i versi: «Questa di Marinella è la storia vera / che se lo prese in culo a primavera / Sembra una cosa triste, eppure certa / gli han spaccato il culo e non la berta».
Paolo Villaggio e Fabrizio De Andre
Da tutte le testimonianze del libro, il rapporto tra De André e Genova sembra speculare a quello tra lui e la sua famiglia, della quale lui era la pecora nera, così come a Genova c' erano i transessuali del ghetto, dove andavano a sfogarsi i marinai americani appena sbarcati. Ricchezza della città ligure, di avere entro di sé le ville sontuose, i palazzi dei Rolli e l' odore promiscuo del porto, un contrasto che si ritrova nel timbro aristocratico di Faber quando canta i suoi perdenti.
DORI GHEZZI CON FABRIZIO DE ANDRE FABRIZIO DE ANDREIl matrimonio di Dori Ghezzi e Fabrizio De AndreDori Ghezzi e Fabrizio De Andre FABRIZIO DE ANDREFABRIZIO E CRISTIANO DE ANDRE 1FABRIZIO DE ANDRECRISTIANO E FABRIZIO DE ANDRE 6fabrizio e cristiano de andreFABRIZIO DE ANDRECRISTIANO E FABRIZIO DE ANDRE 7FABRIZIO E CRISTIANO DE ANDRE - ENRICA RIGNONfabrizio de andre' villaggiofoto di fabrizio de andre di guido harariDORI GHEZZI CON FABRIZIO DE ANDRE zzi
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