DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Pierluigi Diaco per ''Oggi''
Prima di incontrarlo, pensavo che la noia avrebbe regnato sovrana per tutta l’intervista. Credevo che volesse convincermi della bontà del suo attuale impegno teatrale, ennesima tappa di un nuovo voltapagina professionale. Mi ero illuso di potermela cavare girando intorno al suo brand: Garko il bello, il narciso, il re delle fiction Mediaset, il seduttore che non morde, ma buca lo schermo.
Avevo anche pensato di rinunciare alla conversazione: che cosa dovrà mai raccontare? Poi, mio malgrado, ho deciso di studiare il tono della sua voce (deformazione professionale, nasco radiofonico) e ho compreso che il confine tra verità e plateali bugie, tra persona e personaggio, tra l’uomo che è diventato e l’icona che di se stesso ha costruito, oltre che essere labile, poteva diventare il luogo ideale da attraversare insieme per capire se Garko ci è o ci fa.
È talmente “posseduto” dal suo personaggio che adesso si chiama Gabriel Garko, suo nome d’arte, anche per l’anagrafe.
(ride) «Gabriel è sempre stato anche il mio secondo nome».
Sì, però lei è nato Dario Oliviero.
«Guardi che sono sempre io».
Sì, però il suo io più profondo ha preferito Gabriel Garko.
«Dario era un nome che non mi stava più addosso. Ho trent’anni di carriera alle spalle e tutti mi conoscono come Gabriel. In aeroporto, negli uffici pubblici, mi riconoscono col nome d’arte. Per facilitare le cose, ho cambiato anche la mia anagrafe».
Ma Garko suona come il cognome di un produttore di film porno degli Anni 70…
(ride) «Lei dice? Vuole sapere come nasce questo cognome?».
Prego, non vedevo l’ora.
«In un ristorante. Ero con amici. Si erano proposti di aiutarmi a trovare un cognome d’arte adatto alla mia personalità. Ho raccontato che la mia nonna materna di cognome faceva Garkios e abbiamo convenuto che poteva funzionare. Lo abbiamo trasformato in Garko. È stata un’intuizione nata per gioco».
Povero Dario! Che ricordo ha di lui?
«La mia gioventù, i miei anni di studi scolastici. Un periodo bello e spensierato. Mi ricordo le giornate passate con gli amici: i sogni, le speranze, l’assenza di problemi e pensieri negativi».
A scuola sarà stato un piccolo lord.
«Si sbaglia, andavo malissimo. Se l’insegnante aveva la capacità di coinvolgermi nella sua materia, ascoltavo.
Altrimenti, pensavo ad altro».
È cresciuto a Settimo Torinese. Le stava stretta la provincia?
«Per nulla. Infatti ho scelto di non abitare a Roma, ma nelle vicinanze. Mi piacciono i luoghi piccoli, raccolti, riservati. La dinamica della provincia è intima e mi assomiglia di più. Mi appassionano i rumori della natura».
Perché non è tornato ad abitare nei suoi luoghi di origine?
«Il lavoro, gli impegni e tutta la mia vita professionale è legata a Roma».
In gioventù cosa le rimproveravano più spesso in famiglia?
adua del vesco non e stato mio figlio
«Le mie fughe. Prendevo un treno per fuggire a Roma. Volevo fare il cinema, desideravo diventare un attore e a Settimo Torinese non era possibile. Partivo per farmi conoscere dalle agenzie, dai casting e dagli addetti ai lavori».
Insomma, ci tiene a ribadire che ha fatto la gavetta anche lei.
«Certo. E a differenza di oggi, mi faccia aggiungere: nel 2017, se hai talento, puoi farti conoscere anche attraverso il web, ai miei tempi valeva il rapporto diretto. Dovevi sbatterti per conoscere persone e situazioni che ti potessero mettere in relazione con il mondo che ambivi a frequentare. Sono stati anni difficili, ma entusiasmanti».
Avrebbe lavorato come attore anche se non fosse stato così brutto?
«Brutto?».
Non vorrà dire che si sente bello. (ride)
«Mi sta provocando? Vuole dire che non mi trova bello?».
Voglio dire che la sua bellezza è la cosa più noiosa che la riguarda.
«Guardi che della mia bellezza ne parlano gli altri. Sono gli altri che la considerano la mia più convincente chiave comunicativa. Io sono soprattutto altro e come tutte le persone ho un mondo interiore che credo sia molto più bello e ricco della mia fisicità».
Garko complessato, no.
«Ma non sono un complessato, solo che anche io credo di avere dei difetti».
Cosa non le piace del suo corpo?
«Gli occhi».
Mente.
«No, glielo giuro. Non mi piacciono i miei occhi. Non parlo del colore, ma della forma. Del resto non posso dire nulla. Sono consapevole di essere un bel ragazzo e sono ancora più conscio che, se non avessi avuto questo aspetto, non avrei mai raggiunto i traguardi professionali che oggi posso vantare».
gabriel garko onore e rispetto
A inizio carriera, ha lavorato con Ozpetek e Zeffirelli. Poi ha virato sulla tv. Un ripiego?
«Qualcuno potrebbe pensarlo, ma non è così. Ho sempre scelto con la massima libertà le cose da fare e da non fare: ritengo che un progetto cinematografico, televisivo o teatrale, debba essere accettato o rifiutato nell’economia di un percorso che stai facendo. Ho sempre messo tutto l’impegno possibile in ogni cosa che ho fatto e non ho mai avuto alcun tipo di snobberia».
A molti dà l’impressione di essere Gabriel Garko 24 ore su 24. Ha un suo altrove?
«Il mio altrove è il mio privato. Sono i miei amici, pochissimi e che porto con me dall’adolescenza. Alcuni altri se ne sono aggiunti grazie al lavoro: rapporti anche intensi e profondi, ma non c’è dubbio che gran parte delle nostre conversazioni ruotano intorno alla professione».
Nient’altro nel suo altrove?
«I sentimenti, gli amori, le passioni, i cavalli, la lettura, il silenzio, la natura».
Fermiamoci ai cavalli. Se fosse un cavallo quale sarebbe?
«Un cavallo selvatico, libero, che corre senza meta».
Neanche la sua fidanzata Adua Del Vesco riuscirebbe a domarla?
«Con Adua c’è un rapporto di complicità. Sa come sono fatto e quanto tengo alla mia libertà. Ci vogliamo bene, ma abbiamo un registro insindacabile. Capisco che i media si interessino al nostro rapporto, ma la verità e l’intensità che ci legano le conosciamo solo noi. Il resto è gossip: che lo facciano. Ho imparato a farmi scivolare tutto addosso».
rocco siffredi roger garth e gabriel garko
Però non ad amare gli specchi. Mi dicono che alla sola vista scappa a gambe levate…
«Come fa a saperlo?».
Ma se le ho fatto da specchio per tutta l’intervista. (ride)
«Che disgraziato! Sono narcisista, è evidente. Il mio lavoro mi impone di esserlo. Ma è vero che non sopporto gli specchi. A casa mia non ce ne è nemmeno uno, se non nei bagni. Da piccolo mi era stato detto che se passi davanti a un specchio, di notte poi si manifesta il diavolo».
Mi scusi, ma lei quando si guarda non vede un sorta di diavolo?
«Se io vedo un diavolo, lei vede un mostro».
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