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Giordano Tedoldi per “Libero Quotidiano”
Non crediamo che saranno in molti a scandalizzarsi della decisione della Diesel di pubblicizzare i suoi vestiti sui siti porno. Decisione annunciata dal giovane e brillante direttore creativo Nicola Formichetti che, con schiettezza, ha dichiarato: «Dobbiamo fare pubblicità dove va la gente», e la gente va un po' dove la porta il cuore, come da precetto biblico, un po' (tanto) sui siti porno, come Pornhub e YouPorn, rispettivamente 64esimo e 174esimo sito più visitato al mondo, scelti per la prossima campagna primavera-estate.
joe jonas e kiko campagna diesel
La campagna prevede inserzioni anche sulle app di incontri Tinder (etero) e Grindr (gay), così mentre si scorrono in rassegna le inserzioni dei possibili partner apparirà ogni tanto, chiaramente distinguibile, uno scatto con i modelli della pubblicità.
Ora, quando parliamo di business del porno, parliamo di un' industria che già nel 2005, secondo uno studio del Journal of Internet Law, copriva il 69% dei contenuti a pagamento su Internet, scavalcando le news, lo sport e i videogiochi. Quindi semmai la mossa di Diesel, da un punto di vista strettamente commerciale, arriva persino tardi, forse perché dieci anni fa la crisi dei canali pubblicitari tradizionali (che naturalmente continueranno a essere utilizzati da Diesel), giornali, riviste, televisione generalista, non era giunta al punto critico di oggi.
Inoltre la mossa di Diesel è un classico esempio di campagna pubblicitaria che fa pubblicità a se stessa: perché qualunque cosa, accostata alla pornografia, diventa per un momento una notizia, e quindi non stupisce che, come racconta Formichetti, dopo una prima perplessità iniziale di fronte alla sua proposta, sia stato lo stesso fondatore Renzo Rosso, a dare il via esclamando: «Facciamolo! È così Diesel!».
Ed è molto contemporaneo anche calcare la mano, con tipica, calcolata ingenuità, come fa il direttore creativo: «Tutti andiamo su siti come Pornhub, giusto? Così prima di farsi una sega uno può fermarsi a guardare i nostri pantaloni o le scarpe».
Se si può interrompere un film d' autore (ammesso che tale categoria abbia ancora un significato) con la pubblicità di un lassativo perché non una masturbazione con un paio di jeans? Insomma, ci si potrà lamentare del degrado progressivo dei costumi e della morale, ma non si potrà negare che il mercato, ancora una volta, ribadisce la sua logica, fredda e spassionata come quella di un vulcaniano.
La pubblicità vuole «vendere sogni falsi, cose false, bellezza impossibile», dice Formichetti, allora, in questo picco di autocoscienza del marketing, perché non incrociare il desiderio di una merce come un vestito con quello carnale? Sono due cose ben differenti, ma non facciamo gli ipocriti: dalle sue origini la pubblicità sfrutta l' erotismo e i sottintesi porno.
Quello che era soltanto implicito nella pubblicità delle mutandine Roberta, o nei calendari realizzati da fotografi artistoidi, in cui a essere esposto era soprattutto il fondoschiena di una giovane Michelle Hunziker o gli inviti sessuali della soubrette del momento, diventa esplicito con la campagna Diesel: ora non è il porno a infiltrare surrettiziamente la pubblicità, ma la pubblicità a sbarcare apertamente nel porno.
E come ogni pubblicità, anche quella sui siti porno potrà essere bella o brutta, riuscita o fallimentare, indipendentemente dal fatto che trovi posto su YouPorn o Vogue. D' altronde, i veri cultori della pornografia non devono temere: mercato e porno, nonostante tutto, non sono la stessa cosa. Ci sarà sempre un tabù che nemmeno il direttore creativo più spregiudicato oserà violare.
Quale sarà, non lo sappiamo. Per ora non resta che assistere all' avanzata del marketing che ha raggiunto anche gli spazi del desiderio che si credevano proibiti, inevitabilmente normalizzandoli, o meglio, sancendo la loro avvenuta normalizzazione. Si prospetta una nuova generazione di comunicazione più schietta, meno ipocrita, e dunque più noiosa. Quanto era più inquietante e misteriosa la pubblicità della brillantina Linetti.
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