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Marco Giusti per Dagospia
Abbiamo capito. Non è per tutti i gusti. Ma se fai un triplo salto mortale e entri nel gioco dei soldatini violenti armati fino ai denti, ti rendi conto di quanto ci si può divertire di fronte al film più cafone e demenziale della stagione.
Perché questo "G.I. Joe - La vendetta", diretto dal sino-americano Jon M. Chu, specializzato in film di ballerini in 3D, scritto da Rhett Reese e Paul Wernick, la coppia di sceneggiatori di "Zombieland", non è solo il sequel ancora più assurdo del già poco sano "G.I. Joe - La nascita del Cobra" con Dennis Quaid e Channing Tatum, o un giocattolone da 135 milioni di dollari che ne ha già incassati 50 in patria e altri 50 in giro per il mondo, ma è soprattutto un concentrato di movimenti, effetti 3D e montaggio ultrarapido da farti venire il mal di testa ma che nasconde un linguaggio che non è certo quello delle nostre commedie o del cinema tradizionale.
E questo ne spiegherebbe il grande successo in tutto il mondo. Certo, è indirizzato a un pubblico che ha passato il 90 per cento della sua vita davanti ai videogiochi. Ma se lo spettatore italiano di intelligenza medio-alta crolla dopo venti minuti non riuscendo a capire bene né la storia né i personaggi né il perché sia andato a vedere questo film assurdo, anche se poi si ritrova nella pratica giornaliera a dover capire le mosse di Grillo-Bersani-Napolitano che sono ben più complesse e inconcludenti o a sorbirsi interminabili puntate di "Ballarò", uno spettatore diciamo più leggero o di costruzione culturale diversa si lascia trascinare in quello che non è altro che un esercizio di danza di immagini, pallottole, tagli assurdi di montaggio per noi senza senso.
Rispetto al film precedente, che era un po' più tradizionale, questo "G.I. Joe - La vendetta", pur recuperando i cattivi della storia, il perfido Zarton di Arnold Vosloo che prende l'aspetto del Presidente americano, il grande Jonathan Pryce, e rimpolpando il gruppo dei G.I. Joe con il colossale The Rock alias Dwayne Johnson, D.J. Cotrona, Adrienne Palicki, uno Channing Tatum ormai diventato una star che esce di scena a metà storia e una guest star come Bruce Willis, unisce a una sceneggiatura fin troppo ricca e fumettistica una regia del tutto innovativa che distrugge quasi ogni possibilità di racconto tradizionale.
Anche le apparizioni di new entries come Byung-Hun Lee o Elodie Young come di una star del mondo hip-hop come RZA nei panni di un master cieco o di Walter Gogging, uno dei cattivi di "Django Unchained", ci arrivano fra capo e colle esattamente come gli effetti speciali in 3D o le battute di The Rock che cita nuovi maestri dello spirito come il rapper Jay-Z. E' un divertimento, alla fine, troppo raffinato o troppo diverso per il pubblico più o meno snob italiano, che resta del tutto spaesato e bolla come "cacata" un film con cui non riesce mai a entrare in contatto.
Si tratta solo di linguaggi, soprattutto visivi, diversi, anche se le spiegazioni di sceneggiatura su come i G.I. Joe, incolpati di delitti che non hanno commesso, riescono a capire che il Presidente è stato sostituito perché non usa più espressioni come "insomma", fanno parecchio ridere per ingenuità fumettistica. E' come se da noi si sostituisse a Napolitano un Presidente che non ha più accento da napoletano nobile. Già in sala.
GI JOE LA VENDETTA jpeg
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GI JOE LA VENDETTA CHANNING TATUM E THE ROCK jpeg
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