DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
pedro pascal bella ramsey the last of us
Marco Giusti per Dagospia
Che vediamo stasera? Tanto lo so che siete già in fissa per “The Last of Us” di Craig Mazin, già sceneggiatore di “Chernobyl” e "Mystic Quest” e Neil Druckmann, sceneggiatori e registi, un episodio a testa, impossibile dire chi dei due sia la mente, probabilmente entrambi, di questa incredibile e ricchissima serie di HBO/Sky della quale trovate ora solo le prime due puntate, che sono già state viste da qualcosa come 18 milioni di persone la prima e 5,7 milioni solo in America la prima sera.
pedro pascal bella ramsey the last of us
Non so quanto debba al videogioco (certe scene vedo che sono proprio identiche), ma so che è la vera grande serie di oggi, di come oggi i ragazzi stiano digerendo la pandemia e la guerra, assieme, fondendole in un unico grande immaginario collettivo fatto di paura e di attrazione. Il terrore per il reale. Un terrore, inoltre, compresso in vent’anni. Quelli dei millennials, dal 2003 a oggi. I personaggi, anche quelli che pensiamo siano protagonisti scompaiono e muoiono esattamente come in “Game of Thrones”. Pedro Pascal è l’eroe negativo che ci deve accompagnare alla fine del gioco in un universo del tutto compromesso.
La Boston bombardata da attraversare, compreso l’attraversamento del museo, è pura playstation, ma i personaggi di Bella Ramsey, la ragazzina ferita ma non infetta, e di Anna Torv, la donna forte compagna del protagonista, ci riportano verso una dimensione umana da grande film di guerra o da fantascienza spielberghiana. E le due introduzioni delle puntate che abbiamo visto, sono terrificanti perché così vicine alla nostra realtà.
Sia quella con il talk sulla pericolosità dei funghi, sia quella della seconda puntata con la dottoressa di Jakarta esperta di funghi, l’incredibile Christine Hakim, alle prese col primo cadavere di infetto. Sembrano film a parte. Bombardate la città! Poi ti chiedi perché i ragazzi non vanno al cinema o ci vanno solo per Avatar…
Solo ai cinefili oltranzisti propongo una visione attenta su Mubi del bellissimo e sfortunato film scritto e diretto da David Robert Mitchell “Under the Silver Lake” con Andrew Garfield, Riley Keough, Topher Grace, Callie Hernandez. In una Los Angeles strabordante di riferimenti al glorioso passato, con tanto di mamma del protagonista in fissa, come mia madre, per Janet Gaynor e “Settimo cielo” (1926), il Sam di Andrew Garfield rimane incantato da una bellissima vicina, Riley Keough, che gli fa compagnia per una notte e poi scompare misteriosamente la mattina dopo.
Inizia a cercarla, come fossimo in un film di David Lynch o in “The Neon Demon” (ils etg è lo stesso), e scopre solo fili che portano a follie legate alla ricostruzione del mitico passato di Hollywood e di Los Angeles. Fumetti e canzoni che conducono a indovinelli complessi. Testi da decifrare, un tunnel sotto la città, una folle macchinazione. E Andrew Garfield sa che sarà buttato fuori dal suo appartamento se non pagherà l’affitto entro quattro giorni. Che diventano presto tre, due, uno. Ma è troppo preso dalla ricerca. Sfilano di fronte a lui ragazze meravigliose, le ragazze lo trovano infatti un film sessista, e diciamo che è vero.
Ma siamo così presi dal meccanismo di rimandi continui e di piccole scoperte che dobbiamo chiudere un occhio (o magari aprirlo). Flop. Floppissimo. Iniziò a Cannes dove il film non venne capito. Ma oggi è diventato un film di culto da riscoprire. Garfield è favoloso, la sceneggiatura un vero puzzle. E Riley Keough che esce dalla piscina ricostruisce tutto quello che venne filmato da George Cukor con Marilyn Monroe per il film che non fece mai. Assolutamente da vedere. Poi la mamma gli manda il vhs di "Settimo cielo"....
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