DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Marco Giusti per Dagospia
letizia toni in sei nell’anima
Che vediamo stasera se non vediamo la premiazione dei David di Donatello con me, Dago e Daniele Ciprì in concorso con “Roma santa e dannata” per il miglior documentario? Su Netflix mi sono appena il biopic su Gianna Nannini “Sei nell’anima”, diretto dalla fiorentina Cinzia Th Torrini, tratto dall’autobiografia della cantante “I cazzi miei”, con Letizia Toni come Gianna giovane, con Maurizio Lombardi , bravissimo, come il su’ babbo senese, il Nannini dei ricciarelli, Selene Caramazza come un suo amore, Andrea Delogu come Mara Maionchi giovane.
Anche se non è facile rimodellarsi come Gianna Nannini, che aveva un fisico, una faccia così particolari, devo dire che Letizia Toni, pur se pistoiese e non senese, pur se non molto somigliante, si impegna molto, canta bene e un po’ la prende, anche se il problema di tutti questi biopic è sempre l’effetto somiglianza con personaggi così noti. Ma la Torrini è una regista di larga esperienza, soprattutto nella fiction, ma ha cominciato col cinema, e tutto è molto più curato del solito.
Leggo buone critiche della commedia sentimentale “The Idea of You” di Michael Showalter, regista solo di fllm modesti però, con Anne Hathaway, quarantenne, che si innamora di un cantante di una band alla moda ventenne, Nicholas Galitzine, appena arrivato su Amazon. Su Disney+ avete invece l’ottimo complesso dramma, con una serie di colpi di scena inaspettati, “Estranei” di Andrew Haigh con Andrew Scott, il protagonista dello spettacolare “Ripley”, e Paul Mescal.
Ma più che una storia d’amore fra due maschi chiusi in una specie di assurda torre solitaria in una Londra dove non senti più i rumori della città, Haigh fa di “Estranei” un film sulla solitudine di crescere gay nell’Europa omofoba di questi anni e sul potere dell’amore, come spiega appunto il pezzo di Frankie Goes to Hollywood ai tempi dell’aids, come forza salvifica su tutto. Anche sulla morte. Tratto dal romanzo del celebrato scrittore giapponese Taichi Yamada, scomparso un anno fa, Haigh non solo sposta l’azione da Tokyo a Londra, ma fa del protagonista, che qui diventa lo scrittore Adam, interpretato da Andrew Scott, un personaggio gay e senza moglie né figli.
Nella torre totalmente vuota incontra ovviamente non una bella ragazza, ma un bel ragazzo, il Paul Mescal di “Aftersun” che presto troveremo in “The Gladiator 2”, solo e in cerca di compagnia. Pur non cambiando nulla rispetto al momento narrativo fondamentale della storia, quando Adam, orfano da quando aveva 12 anni di padre e madre, li incontra come se fossero vivi, sono i favolosi Jamie Bell (il ragazzino di “Billy Elliot”) e Claire Foy, e si apre con loro, apparentemente giovani adulti della sua stessa età, Haigh sa però che l’aver fatto diventare gay il suo protagonista porta a qualcosa del tutto diverso rispetto alla storia di Yamada.
Perché Adam dovrà spiegare ai genitori, soprattutto all’amata madre, trentenne di fine secolo, che cosa sia significato per lui scoprirsi gay e affrontarlo senza genitori. Affrontare una solitudine profonda, perché non confortata dalla presenza della famiglia.
Ma la vera bomba per cinefili (non cinefili evitatelo proprio…) è l’arrivo su Mubi del capolavoro dell’argentina Laura Citarella “Trenque Lauquen”, kolossal politico-sentimentale di quattro ore, miglior film del 2023 secondo i Cahiers du Cinéma, di sicuro un film che rivoluziona la narrativa cinematografica con un modo tutto suo, molto letterario, di raccontare dentro una storia altre mille storie, prendendo spunto da nulla e andando avanti nei racconti coinvolgendo la botanica, Antonioni, il mostro della laguna nera, il cinema lesbo, la Pampa, la figura rivoluzionaria di Aleksandra Kollontaj e la sua “Autobiografia di una comunista sessualmente emancipata”, e gli epistolari erotici del vecchio secolo.
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