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Filippo Femia e Cristina Insalaco per "la Stampa"
Il diavolo e l'acqua santa, la rock star e il prete degli ultimi. Due mondi apparentemente agli antipodi che si accarezzano: così diversi, eppure con una sintonia di anime che si sublima in lunghe chiacchierate. Quando si incrociano nello stesso luogo si sprigiona un'energia pazzesca, racconta chi ha assistito a quegli incontri. E possono discutere di tutto: dalla musica ai migranti. Vasco e Don Luigi Ciotti si conoscono da più di vent' anni e ieri, alla vigilia del concerto dello Stadio Olimpico, si sono riabbracciati. Un pranzo ad Avigliana, venti chilometri da Torino, ai piedi della Sacra di San Michele, l'abbazia medievale che ha ispirato Umberto Eco per l'ambientazione de "Il nome della Rosa".
Davanti a un piatto di pasta hanno parlato tanto, di pace soprattutto, pensando a quello che sta accadendo in Ucraina. «Siamo sommersi di parole di persone che parlano soltanto di guerra - ha detto il fondatore di Gruppo Abele e Libera immortalato in un video sul profilo Instagram del rocker -. Gli unici vincitori dei conflitti sono le industrie di armi, questa è la più grande vergogna». Vasco ha annuito, serio. «Pace, amore e musica», ha poi esclamato sorridendo, t-shirt nera sotto una camicia di jeans e un berretto azzurro con la visiera all'indietro.
Il primo incontro risale al 2000, quando Dori Ghezzi li fece conoscere in occasione di un concerto in memoria di Fabrizio De André, morto l'anno prima. A chiedere quel faccia a faccia era stato Vasco, stregato dalle parole del sacerdote ascoltate in tv: «Mi piaceva l'idea delle comunità aperte per i tossicodipendenti: quel giusto approccio al problema veniva da Don Luigi - spiegò in quell'occasione -. Quando l'ho incontrato per la prima volta mi sono subito sentito a casa, come con un fratello ritrovato». Da quel giorno quando Vasco passa a Torino per una tappa del tour l'incontro con Don Ciotti è un appuntamento obbligato. Ed è quasi sempre il Komandante a raggiungere il vulcanico prete, sempre impegnato in giro per l'Italia e all'estero: lo chiama, domanda dove si trova e si fa portare da lui.
Quando non riescono a incontrarsi si sentono a distanza. «Don Ciotti è una delle persone che riesce a trasmettere più serenità ed energie positive a Vasco. Il loro è uno splendido legame», spiegano dall'entourage del rocker. Ad accomunarli la nascita in paesini di montagna e il carattere: sono ribelli, assetati di giustizia, sempre inclini al dubbio. «Il nostro approccio alla vita è molto simile - aveva detto Vasco nell'introduzione al film su Don Ciotti "Così in terra" (2020) -. Ci unisce l'impossibilità di essere neutrali o distaccati, lo stupore, la necessità di sospendere il giudizio, la timidezza e il candore infantile. Ammiro la sua predilezione per la diversità, gli strambi, i dimenticati e i giudicati». Entrambi, secondo il rocker, hanno avuto due vite spericolate: «Come sono in fondo tutte le vite che si lasciano guidare dall'inquietudine, che si sentono più a casa nel cercare che nel trovare. E non c'è ricerca che non sia spericolata».
Fin dalla prima tappa del tour, alla Music Arena di Trento, Vasco ha omaggiato Don Ciotti e la sua associazione. Sul palco ha indossato un cappellino di Libera, poi lanciato ai fan sotto il palco. Su Instagram ha spiegato: «Credo nei valori e nei principi di Libera». Non è escluso che Don Ciotti accetti l'invito di Vasco: stasera potrebbe essere allo Stadio Olimpico insieme ad altri 40 mila fan ad ascoltare il live che prenderà il via alle 21 sulle note di "XI Comandamento", il brano che apre l'ultimo album "Siamo qui".
«Non puoi discuterci con l'ignoranza / Conviene arrendersi»: i versi di Vasco sono un appello a fermare il proprio odio verso gli altri, la lezione che il sacerdote porta avanti da decenni. «Un messaggio che continueremo a gridare tu cantando e io come posso, insieme a tante altre persone», conclude Don Ciotti.
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