DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Fulvio Abbate per mowmag.com - Estratti
FULVIO ABBATE FRONTE DEGLI INGESTIBILI
Enrico Berlinguer ha assunto le sembianze di un Padre Pio della sinistra dov'è assente ormai un proprio simbolico emozionale; il suo “spettro” mite. Ricordare un po' di storia nel nostro caso è necessario, perfino rischiando di apparire pedanti, “notarili” come lo era il predecessore Palmiro Togliatti. Pietro Secchia, leggendario dirigente comunista dalla storia resistenziale, era in verità poco entusiasta nel giudicarlo da segretario: “Di fronte a lui persino Giorgio Amendola è uno di sinistra”.
berlinguer la grande ambizione
Acqua ideologica trascorsa, impossibile da restituire nella sua verità davanti al pensiero politico semplificato, costretto in poche righe su X. Non si tratta adesso per paradosso di immaginare quanto fosse possibile “fare la rivoluzione” e neppure, citando proprio Berlinguer, se c’era invece modo di “introdurre elementi di socialismo nella società italiana”, semmai a quale cifra consolatoria e sentimentale risponda il suo culto postumo perfino spettacolare, dedicato periodicamente, quasi a colmare – si è detto - i vuoti del simbolico al compianto segretario comunista.
(...) Irrilevante ricordare, davanti alla santificazione elegiaca successiva, che molti ragazzi, lettori del settimanale satirico “Il Male” sul finire dei Settanta e i primi Ottanta, irridessero Berlinguer: “rosso fuori ma bianco dentro come un ravanello”. Occorreranno almeno dieci anni affinché il Pci già declinante riconquisti attenzione e consensi elettorali da parte sempre dei ragazzi che si riconoscevano comunque nelle ragioni della sinistra.
Non è però questo il nodo cui prestare adesso attenzione, tantomeno ogni possibile riflessione storiografica sul suo spessore reale. Meglio allora interrogarsi più banalmente sulla sostanza di un film che, a quarant’anni dalla morte, reifica proprio Berlinguer come luogo affettivo. Berlinguer - La grande ambizione, diretto da Andrea Segre, vuole restituirne la vita politica, interpretato da Elio Germano in un arco temporale dal 1973 al 1978. Quasi una metafora che il trailer lo mostri di spalle durante un comizio (forse Campovolo, Reggio Emilia, Festa nazionale de l’Unità 1983, cui Luigi Ghirri ha dedicato alcuni scatti straordinari) e le bandiere rosse sollevate dalla folla delle prime file siano state aggiunte in postproduzione, plusvalore simbolico restituito al computer.
Così anche la diligente volontà attoriale di Elio Germano di approssimarsi all’inflessione sassarese e alla prossemica quieta del personaggio che gli è stato dato in cura spettacolare.
(...)
Il film di Segre già nel trailer pretende che si paghi un pedaggio della nostalgia, Berlinguer come plaid ideale per ripararsi dai molti disincanti successivi. “Siamo il partito delle mani pulite,” diceva Berlinguer, ponendo la “questione morale”, ed era semplice onesto liberalismo; impossibile però ancora adesso da spiegare a chi non ha contezza esatta di cos’erano i comunisti italiani.
Visti lassù, sul palco dei comizi rivestito di velluto vermiglio, mostravano il simbolo con le bandiere rossa e tricolore nazionale sormontata da falce martello e stella della Repubblica. Li ritrovavi, li riconoscevi in questo modo scenografico durante le campagne elettorali in fondo a ogni piazza, nella moltitudine in ascolto, un popolo. Si sappia che perfino Wanna Marchi, se ricordo bene, in un’intervista disse di essere comunista.
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