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Mirko Molteni per "Libero"
Ancora insanguinata la gigantesca fabbrica elettronica Foxconn di Shenzhen, nella Cina del Sud, dove una giovane dipendente, Niu Xiaobei, si è schiantata sul selciato precipitando dal sesto piano del dormitorio aziendale. Anche se le autorità minimizzano, sostenendo che si è trattato di un «incidente », forte è il sospetto che si tratti dell'ultimo di una serie di suicidi che imperversano nella fabbrica "maledetta" da ormai un paio d'anni, come minimo.
Niu, sostengono i dirigenti e la polizia si sarebbe semplicemente sbilanciata «mentre tentava di appendere abiti bagnati» fuori della sua finestra per farli asciugare. Perdendo l'equilibrio, ecco il tragico volo. Ma il dubbio è d'obbligo, considerando che ben 13 dipendenti si sono tolti la vita solo nell'ultimo anno in quello che è forse il complesso industriale più grande del mondo.
La Foxconn di Shenzhen, da sola, impiega almeno 330.000 persone, forse anche 400.000 secondo alcune fonti. In ogni caso, un "mostro", di proprietà del miliardario taiwanese Terry Gou, in cui è concentrato circa un quarto dei dipendenti totali del gruppo Foxconn. E un mostro anche in quanto a produttività , dato che sforna i componenti di tutta la linea di prodotti Apple, dall'I-phone all'I-pad, oltre a vari altri aggeggi per Sony o Nokia. Solo per limitarsi all'Iphone 5, il grosso "kombinat", per usare un termine sovietico, raggiungerà entro la fine del 2011 i 30 milioni di esemplari, a un rateo di 150.000 pezzi al giorno, pari al 100% della produzione mondiale del modello.
Un successo economico ottenuto però, così parrebbe, attraverso uno sfruttamento e un clima aziendale capace di spingere molta gente al gesto estremo. Tanto che da almeno un anno è stata introdotta nei contratti per i nuovi assunti una clausola che li impegna a «non togliersi la vita e a non farsi del male». Il primo caso, già nel gennaio 2009, quando fu trovato morto il giovane operaio Ma Xiang Qian. Inizialmente si parlò di «cause sconosciute » e ci volle una terza inchiesta, sollecitata dalla famiglia, per riconoscere l'evidente morte da «caduta da grande altezza».
Comune a tutti i suicidi alla Foxconn, del resto, dati gli altissimi edifici. E a nulla pare sia valsa l'installazione di reti nei punti più "caldi". Dal balcone di casa si lanciò invece il giovane ingegnere Sun Danyong nel luglio 2009, accusato, forse ingiustamente, di aver fatto "sparire" uno dei prototipi di i- Phone appena sviluppati in azienda. Sarebbe stato pressato dai continui interrogatori dei superiori.
Nel maggio 2010, invece, l'appena 19enne Li Hai non ce la fece più dopo neanche un mese e mezzo dall'assunzione. E via così, in un crescendo minimizzato dai dirigenti, secondo i quali ci sarebbe solo un'epidemia di «delusioni d'amore», e alimentato dai turni massacranti di 14 ore, pagati, almeno fino allo scorso anno, la miseria di 900 renminbi al mese, appena 109 euro, seppure per fortuna dallo scorso ottobre il salario sia aumentato a 2000 renminbi, 240 euro al mese. Ma non è solo questione di soldi.
à anche colpa della militarizzazione interna alla fabbrica-prigione, in cui convergono migliaia di migranti sradicati dalle provincie agricole dell'entroterra continentale cinese. Ragazzi di 20-30 anni lontani dalle famiglie e tramutati in robot. Per loro, la Foxconn ha avviato perfino "feste aziendali" anti-suicidio con obbligo di magliette con le scritte "Amiamo Foxconn" e "Amiamo Terry Gou". E per "sollevare il morale", vuoti cori al ritmo di "con Foxconn il futuro è migliore". Proprio!
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