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Gianmaria Tammaro per ''La Stampa''
Quando ha visto l' immagine del campanile sommerso, e ha letto il soggetto e ha ascoltato gli sceneggiatori di Curon, Ilaria Castiglioni ha immediatamente capito di trovarsi davanti a una storia che meritava di diventare una serie tv. «L' ho seguita per quasi un anno, quando lavoravo ancora a Indiana. Poi, lo stesso giorno in cui sono iniziate le riprese, sono passata a Netflix».
Oggi Castiglioni è la manager delle serie originali italiane del servizio streaming, e Curon, disponibile dal 10 giugno, è la sua prima creatura: un mistery ambientato in un paesino del Nord Italia, dove una madre scompare e i suoi due figli cominciano una ricerca senza fine, tesa e surreale. «Più una storia riesce a essere radicata nel territorio - dice - e più risulta vera nelle intenzioni e nella narrazione».
Come si trova il giusto equilibrio tra aspirazioni internazionali e visione locale?
«È importante lavorare sulla qualità, e anche sull' ecosistema che ci circonda. Noi vogliamo parlare ai nostri spettatori, aiutarli a crescere e a scoprire nuove cose. E questo si fa innovando e scommettendo su idee e talenti».
Perché in questi anni Netflix sta producendo così tante serie per ragazzi?
«Perché non c' erano contenuti simili. Le nostre serie hanno protagonisti adolescenti, ma non si rivolgono solo agli adolescenti. Spesso ci sono delle mode, e quindi per mesi interi riceviamo proposte che si assomigliano. Curon, in un certo senso, rappresenta un' eccezione: apre a un discorso più ampio, multigenerazionale».
State lavorando per diversificare ulteriormente la vostra offerta?
«Con Fedeltà e La vita bugiarda degli adulti, andiamo in una direzione differente. Quella, cioè, del dramma puro. A volte si tratta solo di questioni di opportunità».
Parliamo di Fedeltà, dal romanzo di Marco Missiroli (Einaudi). A che punto siete?
«La stiamo scrivendo. Sono contenta del lavoro che stanno facendo gli sceneggiatori, Elisa Amoruso, Alessandro Fabbri e Laura Colella. La storia è ambientata a Milano e, come diceva anche lei, parte da un libro. È necessario riuscire a tradurre i monologhi interiori dei protagonisti nel linguaggio televisivo».
Che ruolo ha Missiroli?
«In realtà non ha voluto essere coinvolto. Si è fidato di Angelo Barbagallo e di Bibi Film, che producono la serie».
Di La vita bugiarda degli adulti, basata sul romanzo di Elena Ferrante (E/O), che cosa può dire?
«Stiamo lavorando con Domenico Procacci e con Fandango.
Siamo ancora in una fase esplorativa, ma stiamo collaborando anche con Elena Ferrante. È un' autrice molto affezionata alle sue opere, e quindi vogliamo che si senta la sua voce».
Che obiettivi vi siete dati per i prossimi anni?
«Abbiamo l' intenzione, entro il 2022, di raddoppiare il numero delle nostre serie italiane.
Siamo passati da due a cinque titoli all' anno, e ora ci prepariamo a lanciarne almeno dieci».
Nel vostro archivio, mancano i grandi autori.
«Vengo dal mondo del cinema e ho lavorato con molti di loro.
Da Gabriele Salvatores a Paolo Virzì, da Francesca Archibugi a Sergio Castellitto. Il linguaggio seriale è diverso da quello dei film, richiede un altro tipo di impegno. Per noi è fondamentale puntare sui nuovi talenti, e crescere insieme. Se vuole, facciamo un po' il percorso contrario: vogliamo trovare i futuri grandi autori, sostenerli».
Com' è cambiato il nostro mercato in questi anni?
«La velocità è uno degli aspetti che, da produttrice, ho apprezzato di più quando in Italia sono arrivati i nuovi player come Netflix. Entrare in un meccanismo del genere, con la certezza di essere distribuiti, è un grande aiuto per un creativo».
Velocità e qualità, però, non vanno sempre d' accordo.
«Avere una serie ferma per due anni rischia di farti perdere passione e convinzione. In Italia, il ruolo degli scrittori sta crescendo. Così come sta crescendo il peso del produttore creativo: meno manager e più coinvolto nella lavorazione. Ci sono più possibilità per tutti».
Che cosa conta?
«La storia. Prima, quando facevo la produttrice, dovevo vendere un progetto ai distributori e un nome importante poteva fare la differenza. Adesso posso permettermi il lusso di lavorare prima di tutto al racconto».
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