UN FESTIVAL COTTO AL FORNACIARI - SANREMO CON I DUETTI MA SENZA SAN SCEMO CELENTANO LA SFANGA CON 12,7 MLN DI TELE-SADICI - LO SCORSO ANNO EBBE 15 MILIONI 398 MILA (50.23%) MA CON BENIGNI A CAVALLO - LA MODESTIA DEI CANTANTI DELL’ARISTON È STATA SMASCHERATA QUANDO IL TOMBALE PUBBLICO DI SANREMO È IMPAZZITO PER BRIAN MAY IN VERSIONE NONNO DI SCIALPI - PATTI SMITH SPETTRALE E FATALE…

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1- SANREMO CON I DUETTI MA SENZA SAN SCEMO CELENTANO LA SFANGA CON 12,7 MLN DI TELE-SADICI
(ANSA) -
In 12 milioni 770 mila spettatori pari al 45.63%, hanno seguito la prima parte della serata di Sanremo dedicata ai duetti. La seconda parte ha avuto 6 milioni 533 mila con il 57.16%. Si conferma il calo sul 2011: la serata del giovedì dedicata a Italia 150, che ospitò però Benigni, ebbe 15 milioni 398 mila (50.23%) e 7 milioni 529 mila (53.21%).

2- LA MODESTIA DEI CANTANTI DELL'ARISTON È STATA SMASCHERATA QUANDO IL TOMBALE PUBBLICO DI SANREMO È IMPAZZITO PER BRIAN MAY
Riccardo Bocca per il blog "Gli Antennati" sul sito de L'Espresso

C'è un brivido, assoluto e tragico, che nella vita coglie di sorpresa chi per miracolose strade ha afferrato un risultato superiore al proprio valore, e all'improvviso realizza l'indegnità del privilegio, precipitando in un'arcaica forma di vergogna che ancora vince la cafoneria e l'arroganza del duemiladodici.

È accaduta, quest'esperienza straordinaria e dolente, ieri sera sul palco di Sanremo a Irene Fornaciari, che dopo aver visto accogliere con il più caldo disinteresse il suo "Grande mistero", è stata invece travolta da mareggiate di applausi quando si è esibita al fianco di Brian May, chitarrista dei freddimercuriati Queen (nell'occasione in coppia con la gran voce di Kerry Ellis).

È insomma impazzito, il pubblico, persino quello tombale dell'Ariston, di fronte alle schitarrate di un rocker pensionabile, che dalla sua parte aveva giusto il merito -terreno e celestiale assieme- di aver scritto a suo tempo della buona musica, e di averla poi interpretata con sangue e mestiere.

Troppo, per la tenera Irene: decisamente troppo, l'impatto senza filtri con la meritocrazia del talento, che alla faccia di tutto e tutti ribalta codici e privilegi, umiliazioni e ingiustizie, riservando alla categoria dei bravi quelle battute di mani che altrimenti restano in tasca.
E quando è scoppiata a piangere, la ragazza, nel suo elegante abito a pantalone, le si è disegnata in faccia la domanda più atroce: «Cosa ci faccio, io, qui?». Sì: cosa ci faceva, lei, lì, con un'anoressia di personalità evidente, a ringraziare per l'uragano di successo che May e la sua chitarra avevano indotto?

Nulla, ci faceva. Rappresentava al meglio il paradosso della terzultima serata sanremese, in cui l'idea da incorniciare doveva essere l'esecuzione di brani celebri italiani, interpretati in abbinata con stelloni internazionali. E invece, al termine di cinque ore eterne, il giochino si è concretizzato in una parola secca e definitiva assieme: imbarazzo.

Totale e viscerale, in cui gli artisti tricolori sono sprofondati salvo applaudibili eccezioni: vedi il divino fossile di Patty Smith con i Marlene Kuntz, che hanno nobilitato la già nobile "Impressioni di settembre", l'insospettabile Arisa con José Feliciano, e anche un po' il tandem Finardi-Noa, dal quale sprizza una religiosità pudìca.

Per il resto il nulla, il deserto senza scorte d'acqua appresso. Perché davanti agli occhi di tutti, occhi smaniosi di qualità e decenza, è apparsa inarrivabile la meraviglia del passato, del nostro passato musicale: quello di una nazione in bilico tra pecorai e scienziati, che sintetizzava nelle canzonette il suo spirito sincero. Fatto di baci e ammore, certo, ma anche di poesia più materialista come quella del Gran Mogol.

«Amarsi un po' è come bere», ha scritto un giorno Giulio Rapetti per il suo amico Battisti -scimmiottato ieri sera da Noemi e Sarah Jane Morris-. Ed è da qui, forse, da questa felicità potente e potabile, da questa onestà evidente, che deve ripartire: non soltanto il festival di Sanremo, giunto all'ennesima stazione della sua via crucis, ma anche il paese intero, che di Fornaciari imbarazzate ne ha accumulate troppe, decennio dopo decennio, in ogni stanza e corridoio di ogni azienda e ufficio.

Sbagliato, dunque, sarebbe fucilare solo i cantanti del Festival per reato di modestia, ieri un po' mascherata dai duetti di rinforzo. Anche perché, sennò, elegantemente appoggiata al muro, con una benda di seta agli occhi, dovrebbe finirci pure Federica Pellegrini.
Della quale, dopo tanta attesa, sappiamo ora cosa fa quando non nuota: vaga su tacchi sragionevoli lungo le tavole dell'Ariston, danzando con Morandi come al ballo delle debuttanti. Roba da poveretti, all'esplosiva età di 23 anni. Anzi no, a pensarci bene: roba proprio da Pellegrini.

 

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