DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
donatella di cesare foto di bacco
1 - SONO CON LEI: IL SUO PASSAPORTO NON PUÒ FARLA DIVENTARE UN NEMICO
Donatella Di Cesare per “La Stampa”
Che chi è russo debba essere qui improvvisamente additato a nemico appare non solo inconcepibile, ma anche indegno di un Paese civile.
È vero che i venti di guerra soffiano forti ormai anche per le nostre strade e nelle nostre piazze, e che c'è chi fa di tutto per accendere gli animi, ma forse occorrerebbe fermarsi prima di compiere gesti di cui pentirsi e vergognarsi.
Non si vede infatti perché avere il passaporto russo costituisca d'un tratto uno stigma, il contrassegno per diventare vittima di azioni e gesti discriminatori che si vanno moltiplicando. Che senso ha negare il caffè a una turista russa in un bar?
Quali sarebbero le colpe di chi ha deciso di visitare le città italiane, di andare in vacanza in montagna o al mare, e viene circondato da un clima di pubblica ostilità, senza neppure lontanamente immaginare quello che succede in madrepatria (come non lo immaginavamo noi)?
Ha compiuto in tal senso un gesto più che discutibile Beppe Sala, primo cittadino di Milano, capitale dell'ospitalità, che ha portato Valerij Gergiev, sospetto di essere putiniano, a lasciare la direzione del Teatro alla Scala. Ma dirigere un'orchestra non è comandare una truppa militare. Questo significherebbe accettare solo gli artisti che, sotto intimidazione, abiurino pubblicamente.
Critica giustamente questa «aggressione» la grande Anna Netrebko che, postando su Instragam una foto emblematica insieme a Gergiev, si congeda dalla Scala precisando di essere contraria a questa guerra, ma rivendicando allo stesso tempo: «sono russa e amo il mio paese».
«Non è giusto costringere gli artisti ad esprimere pubblicamente le proprie opinioni politiche e a denunciare la propria terra d'origine». Così chi ha la colpa di essere russo viene ovunque estromesso a priori da eventi artistici, organizzazioni sportive, tornei di calcio.
Fifa e Uefa decretano l'espulsione della Russia, mentre il Comitato Olimpico esclude a priori cittadini russi e bielorussi, a meno che non si svestano dei loro panni di russi e bielorussi gareggiando come apolidi o neutrali. Ma la discriminazione si diffonde perfino nelle università e nelle accademie.
Ricercatori che avevano scritto mesi fa articoli scientifici si vedono adesso rifiutare i propri contributi dalle riviste non con ragioni di merito, bensì per il semplice motivo di essere russi.
Coinvolgere l'arte, lo sport, la scienza e la ricerca nella guerra non è una scelta saggia. Dovrebbe semmai essere l'esatto contrario: lasciare aperti proprio questi spazi al dialogo e alle prove di pace. Condannare fermamente l'invasione dell'Ucraina, aiutare i rifugiati e accoglierli, non vuol dire in nessun modo che il primo russo che incontriamo per strada debba essere il nostro nemico.
Putin Domingo Gergiev Netrebko
Questo clima bellico da 1914 non si confà a questo Paese e alla sua storia. C'è un equilibro da mantenere, che non è equilibrismo, c'è una assennatezza etica e politica che fa parte integrante della maturità di un Paese. Se molti leader politici si sono messi l'elmetto, occorre allora disobbedire, perché qui ne va davvero della civiltà discriminare un altro solo sulla base della sua nascita, della sua appartenenza a una nazione, è un atto discriminatorio e razzista.
Non vogliamo che i nostri teatri, i nostri stadi, le nostre università, le nostre piazze diventino altrettanti fronti di guerra. Uno scrittore russo deve poter partecipare a un festival, una ballerina deve potersi esibire, un calciatore deve poter giocare.
Un collega russo deve poter intervenire a un dibattito - se non ci sono voli, magari da remoto. Chi dice di appoggiare coloro che manifestano il proprio dissenso nelle piazze russe non può al tempo stesso compiere azioni e gesti discriminatori qui, perché evidentemente si smentirebbe.
2 - HA TORTO: BISOGNA METTERE IN CHIARO CHE SI È CONTRO LO ZAR E LA SUA CORTE
Massimiliano Panarari per “La Stampa”
«La prima vittima della guerra è la verità», scriveva Eschilo. I torti e la ragioni, nello scenario bellico, tendono a confondersi, e vengono costantemente confusi dalla propaganda, fiancheggiatrice per eccellenza delle guerre moderne e oggi supportata da spaventose tecnologie di manipolazione.
E, perciò, si rivela giusto l'intervento di boicottaggio delle piattaforme nei confronti dei canali disinformativi e dei media governativi russi. Nel teatro della guerra il tentativo di discernere accuratamente gli atti e le posizioni, evitando il loro rimescolamento strumentale, assume pertanto la valenza di un imperativo morale.
missile colpisce un palazzo di kiev
Nella vicenda che ha riportato il conflitto sul suolo europeo e ripristinato il clima della guerra fredda si possono distinguere con chiarezza un aggressore (il sistema di potere russo, con Vladimir Putin al vertice della piramide) e un aggredito (gli abitanti e il governo dell'Ucraina).
Un aggressore che ha finto di intavolare trattative diplomatiche, acquistando ulteriore tempo per il dispiegamento del suo apparato bellico - imponente al cospetto di quello dell'aggredito - fino all'inaudita e sconsiderata minaccia dell'arma nucleare. Un aggressore che accusa le democrazie rappresentative delle nefandezze di cui è il portatore, e che ha instaurato sul territorio della Federazione russa un'autocrazia.
A tal punto avvelenata da un'ideologia di tipo neoimperialista, anti-occidentale, antiliberale e militarista da avere inviato i carri armati per imporre i propri diktat, dopo aver già ampiamente fatto ricorso a tutto il repertorio della cyberguerra e della diffusione di ogni genere di fake news. Questa è l'inoppugnabile fotografia dello stato delle cose. Questi sono i tragici dati di fatto.
Di fronte all'invasione dell'Ucraina - che ha tutta l'aria di essere il primo atto di una catastrofe, perché i dittatori non dismettono da soli, come per magia, la loro cieca volontà di potenza - l'Occidente ha deciso (fortunatamente con maggiore compattezza del previsto) di reagire. All'insegna di tutta una serie di risposte proporzionate alla gravità della situazione, ma che devono rigorosamente rimanere al di qua della linea rossa dell'intervento militare diretto.
protesta contro valery gergiev a londra trafalgar square 11 maggio 2014
Una reazione corale, alla quale si sono uniti organismi di governance di vari settori (come Fifa e Uefa) e istituzioni ed enti culturali (come la Scala). Sono manifestazioni di russofobia o atti di censura? Tutt' altro, sono scelte politiche e di impegno civile che, a vario titolo, chiedono a intellettuali e artisti russi - persone prestigiose e in vista - di pronunciarsi sull'aggressione, mettendo in chiaro da che parte stanno rispetto alla condotta del potere repressivo che ha incendiato il continente.
UCRAINA - ATTACCO DEI RUSSI A KIEV
A militarizzare la cultura, facendone uno strumento al servizio della sua politica di potenza dissennata, è stato il putinismo, non le autorità europee. Nulla di nuovo, purtroppo, come hanno già mostrato gli zdanovismi e i Minculpop del Secolo breve.
Decidere di interrompere le collaborazioni con chi condivide le scellerate azioni putiniane (o, in via transitoria, con chi non se ne dissocia) non significa dunque minimamente scagliare anatemi contro il mondo intellettuale, la società civile e la popolazione di nazionalità russa.
I protagonisti della scena culturale, che non ha frontiere, devono appunto lanciare ponti, e non sostenere chi li fa saltare per aria. E dovrebbero coltivare il senso della responsabilità nei confronti dell'umanità. Contrastare anche il rinnovato soft power globale su cui avevano puntato lo zar e la sua corte è, dunque, una misura corretta e opportuna. Perché solo dimostrando che l'autocrate è «nudo» (e isolato), si può sperare di far tacere le armi e di indurlo a negoziare.
UCRAINA - ATTACCO DEI RUSSI A KIEVcolonna di carri armati russi alle porte di kiev colonna di carri armati russi alle porte di kiev 2UCRAINA - UN SOLDATO UCRAINO ALLA FINESTRA
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