DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Malcom Pagani per il “Fatto Quotidiano”
In un lunedì d' aprile del 1972 William Friedkin vinse l' Oscar e il palco rischiò di rimanere vuoto: "Ero con quattro amici e la macchina su cui viaggiavamo si fermò all' improvviso. La spingemmo sudando nei nostri smoking fino a un distributore per farci dire da un meccanico che la batteria se ne era andata e con lei anche la possibilità di arrivare in tempo alla cerimonia.
Trovare un taxi a Los Angeles nel primo pomeriggio era impossibile e mentre cominciavo a disperare mi accorsi di un ragazzo che stava facendo benzina. Mi avvicinai e tentai il tutto per tutto: 'Sono il regista di un film che oggi potrebbe ricevere un premio molto importante, ci darebbe un passaggio fino al Music Centre? La pagherei'. Mi guardò scettico: 'E che film avrebbe girato?', Il braccio violento della legge. Si illuminò: 'Quello che preferisco'. Seguì una contrattazione.
STANLEY KUBRICK SUL SET DI ARANCIA MECCANICA
Il nostro salvatore sarebbe dovuto tornare a casa, nella Valley, dalla parte opposta e temeva per i riflessi coniugali: 'Vi accompagno, ma mia moglie non mi crederà mai. Deve promettermi che se vince ci farà una telefonata in cui le spiegherà la verità a voce'. Così feci, perché ricevere ha senso soltanto se si sa restituire".
Quarantaquattro anni dopo aver costretto il Kubrick di Arancia Meccanica ad applaudirlo mentre riceveva da Frank Capra la statuetta per la miglior regia, Friedkin non lucida il proprio monumento: "Un produttore hollywoodiano diceva sempre che quando una divinità vuole punirti, non si dimentica mai di farti prima avere lustro nel mondo dello spettacolo".
Friedkin conosce il meccanismo. È salito, è caduto e si è sempre rialzato: "Ho realizzato film di successo e opere fallimentari - dice - e ho accettato le critiche, anche le più feroci, un po' perché ne capivo le ragioni e un po' perché il regista è sonnambulo per definizione e nel cercare una strada o nel trovare un sentiero ha sempre bisogno di un altro punto di vista".
Inaugurato il Lucca film festival ed Europa cinema e benedetta una preziosa retrospettiva su di lui, sotto le volte di San Micheletto, Friedkin beve acqua e nasconde nell' ironia l' assoluta importanza del suo segno, il genio, i premi, gli incontri, i bypass e l' anagrafe. Agosto 1935.
Ha 81 anni, ma veste pantaloni color kaki molto simili a quelli che indossava quando appena trentenne conobbe Hitchcock.
Lavoravo per una tv di Chicago e venivo da un documentario su Paul Crump, un detenuto condannato a morte per omicidio che aspettava l' esecuzione della sentenza.
Il film era stato premiato al Festival di San Francisco, Crump aveva salvato la pelle e il produttore de L' ora di Hitchcock, un telefilm su cui il maestro dava il placet dopo essere intervenuto al montaggio e aver fatto una breve apparizione introduttiva in testa, mi propose di girare l' ultimo episodio della serie.
Lei accettò.
Di corsa. Quarto potere di Welles - che vidi inebetito per cinque volte in un solo giorno, uscendo dalla sala in piena notte e ripetendomi: 'Anche se non ho la minima idea del come, voglio fare questo mestiere' - e il suo cinema mi avevano suggestionato.
Nessuno come Hitchcock ha saputo coniugare sorriso nascosto e inquietudine, mistero e tecnica, bellezza formale e tensione.
Come andò il vostro incontro?
Lo vidi solo due volte. La prima, negli studi Universal. Era vestito di tutto punto. Gli porsi la mano. Allungò la sua protendendola, quasi volesse l' inchino. Poi ricambiò con una stretta timida, disgustata: 'Signor Friedkin, in genere i nostri registi al collo hanno la cravatta'. Feci una battuta. La ignorò.
Ci incontrammo di nuovo molti anni dopo. Avevo ricevuto un premio dall' associazione dei registi americani per Il braccio violento della legge e sul mio smoking in affitto spiccava un papillon. Mi avvicinai: 'Hai visto? Oggi ho la cravatta adatta'. Non ci fece caso. Forse di quell' episodio non aveva più memoria o forse fece soltanto finta, come Jane Fonda.
Cosa fece Jane Fonda?
Ai tempi de L' esorcista cercavamo l' attrice per il ruolo della madre di Linda Blair poi interpretato da Ellen Burstyn. Avevamo pensato ad Audrey Hepburn e ad Anne Bancroft, ma per motivi diversi le due ipotesi erano naufragate.
Spedimmo il copione a Fonda che rispose con un telegramma: 'Chi vorrebbe fare questa stronzata capitalistica di serie B?'. Negli anni siamo diventati amici e a una cena, finalmente, le ho chiesto se si ricordasse di quella lettera. Negò. Non ci credevo: 'Te lo ricordi, te lo ricordi eccome'.
Ha litigato spesso sul set?
Ho cercato di dire la verità. Anche quando era sgradevole. Nel 1966, proprio 40 anni fa, reduce dal mio primo film, per il cinema Good Times che tanto mi aveva divertito quanto era andato male, discussi con Blake Edwards. Era tra i più fantasiosi sceneggiatori e registi di Hollywood, lo ammiravo senza riserve e così quando mi convocò alla Paramount per chiedermi cosa pensassi del Peter Gunn televisivo con Craig Stevens che aveva ideato, dissi la verità: 'Non c' è serie che preferisca al mondo'.
Edwards voleva farne una versione per il grande schermo e mi chiese di firmare la regia. Mi sentii lusingato. Mi diede la sceneggiatura e io felice mi chiusi in albergo per leggerla. 'Appena hai finito dimmi cosa ne pensi'. Iniziai. Era tremenda. Farraginosa. Inutile. Mi feci ricevere e glielo dissi senza ellissi, tutto d' un fiato: 'Il copione è una merda'. Edwards credette di aver capito male.
'Come dici, scusami?', 'Andrebbe completamente riscritto'. Blake perse la pazienza, alzò la voce, mi diede del ragazzino viziato e mi accompagnò alla porta.
il braccio violento della legge
Lei ha iniziato facendo la gavetta.
Ho venduto le bibite negli stadi, ho lavorato come fattorino nell' ufficio corrispondenza di una tv, da lì sono passato a fare prima l' assistente, poi l' ispettore di produzione e infine il supervisore di molti programmi. Solo dopo sono approdato alla regia. Senza scuole. Da autodidatta. A casa nostra non c' era un dollaro. Mio padre ne guadagnava 50 alla settimana, darsi da fare era un' esigenza.
La tv cosa le ha insegnato?
La stessa cosa che mi ha insegnato il cinema. È un' impresa collettiva. Tutti quelli che ci lavorano sono raggi della stessa ruota. Se avessi deciso di diventare un pittore o uno scrittore sarebbe stato diverso, ma faccio il regista.Devo comunicare, non atteggiarmi a dittatore.
È stato descritto come un regista non tenero sul set.
Se è successo, è dipeso dalle circostanze. A volte per tirare fuori il meglio da un attore devi creare conflitto, altre devi lasciare che si esprima in libertà, senza caricarlo con le tue aspettative. Con Hackman ne Il braccio violento della legge andò proprio così.
Gene capitò nel film un po' per caso. Era libero e aveva un cachet molto basso, perfetto per un film a basso costo. Lo incontrai e non mi fece una grande impressione.
Dopo andò meglio?
La vera storia di due poliziotti non ortodossi della narcotici di New York era piena di momenti concitati, scatti d' ira, violenze e inseguimenti. L' inizio fu difficile e Hackman fu sul punto di mollare. Ci parlammo. Non gli piaceva il suo personaggio e si trovava a disagio nell' interpretare un agente che ripeteva 'negro' ogni quattro parole.
Lo convinsi a proseguire, ma per stimolarlo e farlo rendere al meglio, lo trattai per tutto il film con una voluta, ricercata aggressività. Molte delle reazioni che Gene ha sullo schermo sono reazioni nei miei confronti.
Francesco De Gregori dice che dal personaggio di Hackman ha mutuato il cappello che da decenni lo accompagna nei concerti.
Ed è strano, perché in Italia, per ragioni politiche del tutto estranee alla storia che volevo raccontare, il film venne considerato un apologo di destra. De Gregori, un progressista, scelse il cappello di un personaggio che aveva convinzioni opposte alle sue.
Hackman interpretava un poliziotto ultraconservatore.
Ma un conservatore non è altro che un progressista che è stato scippato dalla realtà.
Nel film c' è la sequenza di un inseguimento che ha fatto scuola.
Trovare la location e restituire la sensazione di realismo che avevo sognato immaginando la scena fu complicato. Per ottenere il massimo verismo misi seriamente a repentaglio la mia vita, quella dell' operatore e di uno stuntman eccezionale. Piazzammo tre camere all' interno di una Pontiac e percorremmo più di 25 incroci a 140 all' ora senza chiedere permessi: né alla polizia, né alla produzione. Oggi non lo rifarei e non ne me ne glorio.
Dopo l' Oscar andò in analisi.
Una sola volta. Il successo era giunto troppo in fretta.
Cosa prova a sentirsi definire il regista della paura?
Non ci penso, così come non do importanza a chi mi definisce il regista del male. Il male e il bene sono in lotta continua dentro ognuno di noi e la vita stessa è il campo in cui cerchiamo di far prevalere l' uno sull' altro. Prenda O.J. Simpson. La serie tv è di medio livello, ma la storia è emblematica di quell' ambivalenza di cui le parlavo.
L' ambivalenza tra bene e male?
Ho conosciuto bene O.J., ho passato con lui molto tempo. Era una persona amabile. Poi cambiò direzione all' improvviso e uccise sua moglie Nicole e un cameriere, Ronald Goldman.
La giuria, dopo quasi nove mesi di processo, lo assolse.
Li uccise lui. Ne sono assolutamente sicuro. Dentro O.J. si era rotto qualcosa. Era l' ultima persona che mi sarei mai aspettato potesse ammazzare qualcuno, ma accadde.
Si sarebbe invece mai aspettato che L' esorcista diventasse un film eterno?
Ho spesso raccontato vicende dolorose e al limite, ma non mi aspettavo che venisse preso come un film dell' orrore. La mia intenzione e quella di William Blatty, che aveva scritto il libro da cui prendemmo spunto, era quella di raccontare una storia sul mistero della fede e della vita. Alle alte sfere cattoliche L' esorcista piacque. Qualche importante prelato aveva addirittura la sua copia personale.
Avrebbe voluto far comporre la colonna sonora a Bernard Herrman, il compositore di Psycho e di Quarto potere
'Forse potrei darle una mano con la sua spazzatura, ma deve togliere il prologo in Iraq.
Non c' entra niente', mi disse. Fu brusco. Naturalmente non tolsi nulla e me ne andai.
Quella scena prefigurava il resto del film. L' avevo girata, con non pochi rischi, proprio a pochi chilometri da Mosul.
Come scelse Linda Blair?
Facemmo migliaia di provini. Cercavamo una dodicenne, ma le implicazioni morali erano fortissime e ci chiedevamo non soltanto se la prescelta avrebbe recitato adeguatamente, ma anche se la sua vita non ne sarebbe stata sconvolta per sempre.
A un certo punto iniziammo a visionare ragazze più grandi e fu così che in ufficio, un giorno arrivò Blair con sua madre. Io e Linda conversammo. Le chiesi se sapeva a cosa sarebbe andata incontro: 'Il personaggio deve buttare un uomo dalla finestra della sua stanza, deve percuotere sua madre e masturbarsi con il crocifisso'. Rimasi interdetto. 'Sai cosa significa masturbarsi?'. 'Equivale a farsi le seghe, giusto?'.
Insistetti: 'Ti è mai capitato?'.
E lei, secca: 'Ovvio, a lei non è mai successo?'. Linda era la persona che cercavo.
Solo in America il film incassò 440 milioni di dollari.
Vidi deliri, follie e scorrettezze. Facemmo un lungo giro europeo. A Berlino i produttori mi programmarono un' intervista alle 9 di sera con Bild Zeitung. Ero stanco, non volevo farla e glielo dissi. Insistettero: 'È molto importante per il film'.
Arrivarono nella mia stanza d' albergo un fotografo e un giovane, brillante giornalista. Fece domande intelligenti, mi risvegliò. Il giorno dopo, ritrovai due foto e un titolo enorme. In una, sotto la didascalia: 'Ecco dove dorme il diavolo', c' era il mio letto. Nell' altra la mia faccia: 'Lui è l' uomo che ha portato il male in Germania'. Il pezzo era stato già scritto. Mi arrabbiai moltissimo. Volevo querelarli, poi rinunciai.
Montarsi la testa era facile.
Infatti accadde puntualmente. Ero arrivato a Hollywood da nullatenente ed ero riuscito a risalire la corrente. Pensavo che il successo sarebbe durato per sempre. Quando tutti ti ripetono quanto sei bravo non ti domandi più niente e finisci per crederci. Fui tracotante. Ero molto amico di Coppola. Francis mi parlò per primo di Star Wars e di George Lucas. E io ne ignorai le prospettive così come feci con Spielberg. Sottovalutazioni imperdonabili.
Due film successivi a L' esorcista , Il salario della paura e Cruising , sono diventati capolavori solo a molti anni di distanza.
È stata una sorta di resurrezione, ma all' epoca non vennero capiti e rimasi ai margini perché il successo ha molti padri e i tonfi ti lasciano solissimo. Il salario della paura mi costò moltissimo, ma rimane ancora oggi il mio lavoro preferito.
E Cruising?
Nel 1979, al West Village, molti gay erano morti in modo efferato. Volevo costruire un giallo ambientato nel mondo del sadomaso. Frequentai per molti mesi club dove vidi pratiche estreme.
Ma non criticavo nessuno.
Non c' era una morale buona e una cattiva. La comunità gay, nonostante il mio film fosse tutto tranne che omofobo e l' ambientazione non fosse altro che un sottofondo per il mistero, ci osteggiò fin dall' inizio sostenendo che il film criticasse il loro stile di vita e li mettesse, anche fisicamente, nel mirino.
william friedkin dario argento
La lavorazione fu complicatissima. Ci lasciavano la spazzatura sul set. Ci insultavano da dietro le transenne. Al Pacino, il protagonista, non poteva più girare per strada. 'Frocetto', 'stronzo'. Trattenuti dalla polizia, attivisti e manifestanti gli gridavano di tutto.
Regie liriche, libri, l' aura del maestro. A Venezia le hanno consegnato un Leone d' oro alla Carriera da aggiungere all' Oscar. Cosa si può dire ancora di William Friedkin?
Che non sono mai stato alle regole dei custodi della morale e aggirarle ha comportato un prezzo.
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