FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Marco Giusti per Dagospia
Festival di Berlino. “Amo svoltato!” Bella sorpresa davvero il primo film dei gemelli romani Damiano e Fabio D’Innocenzo, che si firmano Fratelli D’Innocenzo, La terra dell’abbastanza, presentato in questi giorni nella sezione Panorama del Festival di Berlino e che vedremo da noi tra un paio di mesi. Sembra. Il genere è un sub Suburra, Non essere cattivo, cioè periferia romana violenta, l’ascesa criminale di due amici che diventano piccoli gangster per caso, quando mettono sotto uno con la macchina (“Porco… è uscito dar nulla!”) in piena notte.
Dopo la prima ondata di panico (“avete investito una persona, mica so’ pizza e fichi!”), siccome si viene a sapere che il morto era un infame ricercato da una banda, il clan dei Vantano, i due, Mirko e Manolo, interpretati da Matteo Olivetti e Andrea Carpenzano, bravissimi e non sono neanche romani, grazie al padre di Manolo, uno strepitoso Max Tortora nel suo primo ruolo drammatico, svoltano (“Na volta tanto un po’ de bucio de culo!”), cioè vengono ripagati della “buona” azione dal capo del clan, un certo Angelo, Luca Zingaretti, e finiscono a fare prima i killer poi i pappa di un gruppo di mignotte minorenni.
I due ragazzi non hanno nessuna consapevolezza delle loro azioni, come si ripetono anche i criminali che li hanno ingaggiati, sono due cani sciolti, anche se presto si incrinano sia i rapporti fra di loro sia con la famiglia, soprattutto il rapporto di Mirko con la madre, Milena Mancini.
Costruito con una regia che mostra il rispetto dovuto ai maestri, Claudio Caligari, Stefano Sollima e soprattutto Matteo Garrone, i gemelli sono stati suoi assistenti, ma poi prende una sua strada coatto-criminale decisamente personale e moderna, con lunghi piani sequenza sotto il controllo del direttore della fotografia Paolo Carnera, del montaggio perfetto di Marco Spoletini, e della musica minimale di Toni Bruna, il film ha il coraggio di risolvere le morti violenti come fossero in fuori campo, come se non ci interessasse scivolare nella parte più pornografica del genere.
La macchina da presa infatti è tutta sui volti di Mirko e Manolo, come se quello che è capitato a loro, la “svolta”, “il bucio de culo”, e quello che stanno facendo, le morti su commissioni (“c’è un indultato a Rieti… un ex-pugile…”), le mignotte, facessero parte di un mondo che serve ai registi solo per sviluppare la loro storia. “Ci abbiamo la chimica io e te”, si dicono dopo un’azione orrenda, cercando di ricostrursi il rapporto da ragazzini che avevano prima dell’incidente.
Ma è nello scontro con gli adulti che tutto questo scoppia, che i due non ce la fanno a entrare in un mondo che non sanno neanche cosa sia. Molto simile a Blue Kids di Andrea Tagliaferri, opera prima di un aiuto di Matteo Garrone prodotta dallo stesso regista, dove i ragazzini criminali erano però rampolli della buona borghesia del nord, anche La terra dell’abbastanza è un piccolo trattato non tanto sull’indifferenza e sulla inconsapevolezza che accompagna i delitti di questi baby criminali, quanto sulla totale perdita di contatti che i ragazzi, borghesi e non, hanno con il mondo adulto e con la propria famiglia e sul tentativo disperato di ricostruirsi una famiglia fra di loro tramite rapporti d’amicizia o d’affetto.
E’ un mondo esplosivo e in parte già esploso che sembra difficilmente recuperabile socialmente e che si muove quasi su modelli cinematografici, Gomorra, Suburra, Non essere cattivo, già nella realtà. E che è mosso da piccoli desideri, soldi, telefonini, il calcio, che vengono come buttati lì nella totale indifferenza. “Poi ve faccio conosce il Capitano”, dice il boss Zingaretti ai due ragazzi dopo averli mandati a uccidere. Per i Mirko e i Manolo, i Ciro e i Genny di Gomorra, fanno già parte di un’altra generazione. Ottima opera prima che ci piacerebbe vedere in sala subito.
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