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Malcom Pagani per il “Fatto Quotidiano”
Ogni tanto la musica finisce, gli amici se ne vanno e il primo telefono a squillare è quello di Marco Giusti. “Mi chiamano i parenti per annunciarmi il lutto e in velocità batto regolarmente l’Ansa” dice lui, raccontando di una comunità che in vita e in morte lo riconosce come narratore principe di una fortunata stagione del nostro cinema.
“Dovrei festeggiare i 15 anni di Stracult, ma la verità è che i miei idoli e i miei vecchietti sono quasi tutti sottoterra ”. Giusti ancheggia ai bordi della Rai. Il solito bar. L’estate. L’ambulante che lo saluta e incredulo ottiene 10 euro più stropicciati del donatore stesso. Otto puntate del suo storico programma in onda da stasera su Rai Due (con Andrea Delogu).
Giusti è un equivoco. Uno studioso di Mizoguchi e dei camera car delle città violente di Umberto Lenzi. Un teorico di Lang e Nicholas Ray e delle docce spiate da Lino Banfi e Montagnani. Dei film stagionali in cui le soldatesse ammiccano ai colonnelli e le insegnanti vanno al mare con tutta la classe, sa tutto: “E in fondo non mi dispiace neanche troppo che per cancellare il senso del lavoro svolto in questi anni, mi identifichino come l’aedo del trash o del peto utile a strappare una risata. So che non lo sono e che so dire esattamente da dove origini il cinema di Sergio Leone. Non ero io a non averlo capito, erano altri”.
Se per sintetizzare il senso del suo scavo nel cinema di genere pronunci la parola “classificazione ” (di produzioni avventurose, sceneggiature traballanti, cialtroni, meteore e grandi attori sottovalutati) Giusti ti fulmina. “Stracult è un magazzino, un archivio, un tentativo di celebrare il passato allegramente. Ma parla di cose che non ci sono più con attitudine assai meno funeraria di tanto cinema contemporaneo.
Maria Grazia Buccella e Carlo Giuffré impegnati a cantare Coroccoccò in Basta guardarla è una cosa che trovi solo qui”. Giusti giura che Stracult è nato “per la mia voglia di stare dentro il cinema. Io non volevo essere un critico, volevo fare i film. A 18 anni provai ad entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Non mi presero. Il vero dolore della mia vita. C’era un usciere con la mano di legno.
Chiesi ‘Ma qui è una cosa seria?’ ‘E che giocamo? Qui, ragazzo, c’è il maestro Rossellini’. In quell’epoca vivevo a Benevento con mio padre, questore della città”. Di poliziotte in divise più discinte, Giusti ne ha incontrate tante. Poi si è messo a comminare multe anche lui. Per il Manifesto. Per Dagospia ne Il cinema dei Giusti. “Ma sbaglio spesso e quando mi vesto da critico lo faccio per gioco. Prendo per il culo in maniera affettuosa tutti i Mereghetti del mondo”.
Per anni, addentrandosi nei territori di Stracult, al giudizio Giusti ha affiancato l’intervista. Decine di attori e registi: “Che la critica alta non si sognava di interpellare. Il critico considerava l’intervista un ambito umiliante; in questo modo, voltandoci dall’altra parte, abbiamo perso anni di racconti straordinari”. Giusti li ha recuperati: “Quando arrivavo da Lenzi e da Bava non mostravano sorpresa, ‘Ti aspettavamo da un pezzo’ dicevano”.
Ha rimesso in fila debiti ed eredità. Un lavoro “da storico che insegue il tempo e si pone il problema di restituire le biografie e le sottotrame che c’era - no dietro a un’epoca. Come diceva Zavattini, il cinema era pieno di falsità fin dai titoli di testa”. In quello italiano di oggi,
Giusti vede verità: “Luca Guadagnino e Stefano Sollima sono bravissimi. Il primo sarà a Venezia con un film magnifico. Il secondo dovrebbe esserci di diritto con Suburra, titolo evento nell’anno di Mafia Capitale, ma non ci sarà. È cinema popolare perfetto per l’America, ma noi ce ne vergogniamo. Varrebbe la pena di fare una bella battaglia di principio. Fa molto caldo, rimandiamo alla prossima volta?”
GIUSTI, VERDONE E ANDREA DELOGU E STEVE DELLACASA
ANDREA DELOGU
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