DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
1 – CHE COS’È QUESTA CRISI…
Marco Giusti per Dagospia
Ci risiamo. Come ogni anno, guardando agli incassi del mercato italiano, in assenza di un nuovo film di Checco Zalone, si torna a parlare di crisi. E riparte il piagnisteo. Ohi! Ohi! Perché il pubblico non ci ama? Perché chiudono le sale? Stavolta proprio tutti giornali americani di settore, da Variety a Hollywood Reporter, ci sventolano sotto il naso il disastro che raccontano i dati del 2018. Il peggior incasso annuale degli ultimi dieci anni, 555 milioni di euro, 30 milioni in meno del 2017, dove già sembrava di aver toccato il fondo.
I biglietti staccati sono 85 milioni, e non eravamo mai scesi sotto i 90 milioni. E, anche se gli italiani sono tutti chiusi a casa a mangiare panettoni e a guardare la tv, non diamo la colpa a Netflix, perché negli altri paesi, dove Netflix c’è come da noi, le cose vanno più che bene. E parliamo di Francia e Germania, non solo della Cina dove seguitano a scatenarsi per ogni nuovo film di supereroi americani che arriva. La crisi, si dice, è stata provocata dal disastro degli incassi estivi e dalla pirateria. Tutti scaricano tutto, è vero, e nessuno va al cinema d’estate. E’ vero pure questo.
massimo boldi christian de sica
Ma mettiamoci anche che i soldi che mancano vengono dal disamore totale che il pubblico italiano ha per i nostri film. Perché? Perché in generale sono mal scritti, mal diretti, sciatti e, cosa peggiore di tutte, spesso fotocopia di film che abbiamo già visto troppe volte. Non si tratta solo di essere remake o remake di remake, il brutto è che sembrano cose che conosciamo e che vogliamo evitare. Non sono né glamour, né popolari nel senso buono del termine. Il pubblico non ci casca.
La colpa è di tutti, ma soprattutto dei produttori. Lo sanno già se un film non serve a niente, se non produce interesse. E un film sbagliato brucia attori di nome e contamina i film che verranno dopo. Esclusi quelli di Checco Zalone e di pochissimi altri, il pubblico preferisce qualsiasi altra cosa a un film italiano. I dati parlano chiaro. Non crollano i film americani da noi, crollano i nostri film, che da settembre a oggi non sono mai entrati o quasi tra i primi cinque incassi del weekend. A parte La Befana e poco altro.
LA BEFANA VIEN DI NOTTE - PAOLA CORTELLESI
I soli film che nel 2018 hanno avuto un discreto, non ho detto ottimo, risultato al botteghino sono stati A casa tutti bene di Gabriele Muccino, Benedetta follia di Carlo Verdone, Come un gatto in tangenziale, Loro1 e Loro2, e queste feste Amici come prima di Christian De Sica e La Befana vien di notte di Michele Soavi. Il resto, belli o brutti che fossero, non esistono. Ma anche così, questo pugno di film non basta a far crescere in maniera sana una produzione. Più che far le pulci a Netflix e pensare al caso Sulla mia pelle, che i distributori non hanno voluto distribuire in sala, pensiamo a quanta scarsa attrattiva abbiano i nostri film in sala proprio per il nostro pubblico.
Escludiamo i film da festival, che alla fine fanno quello che devono fare, come Dogman di Matteo Garrone, e ci sta che un Mario Martone una volta vada bene (Il giovane favoloso) e una volta meno (Capri Revolution), magari ci sta meno bene il disastro dei due film di Paolo Virzì questa stagione, che pure è un maestro di commedia e dovrebbe conoscere il suo pubblico, ma quello che sta crollando è proprio il prodotto medio legato alla commedia e al cinema con i volti sorridenti dei nostri protagonisti. Nessuno di loro basta più per portare la gente al cinema.
Esclusi Verdone, Cortellesi, Siani, Boldi e De Sica, Pieraccioni, Ficarra e Picone e il già fin troppo nominato Zalone. Ma questi nomi, che non sempre fanno un film all’anno, non bastano da soli a costruire una produzione ricca. Neanche metterne due-tre-quattro assieme ha funzionato più che tanto.
Un attore di successo si brucia con la troppa esposizione al cinema. E un film sbagliato, in termini proprio di fedeltà del pubblico, si paga caro. Se poi iniziano a essere due o tre, quell’attore si brucia senza speranza. Alla fine, fra tante commedie, quella di Boldi e De Sica, Amici come prima, non solo faceva ridere, era girato con buona tecnica, ma soprattutto offriva un piccolo evento, come il ritorno della coppia, quella di Verdone lo vedeva assieme a un’attrice inedita nella commedia, Ilenia Pastorelli, che non dovrebbe ora ripetere lo stesso ruolo all’infinito, era scritta assieme a due sceneggiatori originali, Guaglianone e Menotti, A Casa tutti bene di Muccino offriva uno spaccato della famiglia italiana di buon livello già come scrittura, ma soprattutto ci riportava al cinema di Muccino che da anni non vedevamo più.
E così ha funzionato l’ultimo Pieraccioni, grazie all’affezione del pubblico, malgrado non fosse una novità. Mentre Come un gatto in tangenziale di Riccardo Milani mostrava il prototipo della commedia italiana di successo. Benissimo scritta, divertente, con una coppia di attori brillanti non troppo visti durante l’anno, e un mare di piccoli e grandi caratteristi come ai vecchi tempi.
E adattava la commedia all’italiana alla realtà di oggi. Un Verdone 2.0. Esattamente come erano commedie innovative le ultime di Ficarra e Picone, anche queste dei modelli da cui ripartire, ma assenti ahimé questa stagione. Ma quanti altri film italiani così costruiti abbiamo visto nel 2018? Sappiamo da tempo che la commedia, dopo la fine dei generi, è stata la grande pancia della nostra industria.
Se la commedia, con le sue star, non funziona, non funziona tutto il nostro cinema. E il pubblico preferisce puntare sui prodotti sicuri, kolossal della Disney o supereroi che siano.
Discorso a parte merita Luca Guadagnino, che si è presentato quest’anno con due film, Chiamami col tuo nome e Suspiria, che non sono film americani, sono film di coproduzione, ma prodotti e girati in Italia. Il modello di Chiamami col tuo nome, 3,5 milioni di budget, 41 milioni di dollari di incasso in tutto il mondo, 4,1 in Italia, dimostra che si possono girare piccoli film da esportare in tutto il mondo. Lo ripeto per la centesima volta. Non solo. Si possono girare film che non puzzano della sciatteria del film italiano medio. E’ un film che ha un pubblico perché se lo è conquistato.
E non parliamo di star, perché né Thimothy Chamalet né Arnie Hammer erano delle star da noi. Suspiria, più ricco, sembra 25 milioni di dollari, non è andato così bene. Finora 5 milioni di dollari in tutto il mondo. Troppo difficile, poco accattivante. Ma avrà una vita diversa su Amazon. Come avranno una vita a parte tanti altri film e serie che si producono per Netflix, HBO, per la stessa Rai. Come ha capito benissimo Andrea Occhipinti con la sua Lucky Red che si muove agilmente fra cinema e serie.
Perché è vero che è stato un anno drammatico al box office, ma abbiamo prodotto pure serie di grande successo, come L’amica geniale o Suburra o Baby o Il miracolo, che mostrano interessanti vie d’uscita alla nostra produzione. I soldi li stiamo mettendo lì, non nel cinema. E’ lì che stiamo ricostruendo un po’ di glam cinematografico, con attori inediti e storie forti. Ovvio che i film in sala si restringano e non attirino più il nostro pubblico.
Sembrano spesso gli scarti di vecchie produzioni e non il nostro meglio. Allora, al di là dei risultati modesti che inchiodano l’industria italiana e fanno piangere gli esercenti, ci sembra che il discorso da fare sia un po’ diverso. Cioè, dove sta andando il cinema italiano?, inteso come somma di cinema più serie più film per la tv. Se non facciamo un discorso globale, non si ha un quadro totale della situazione. Che forse è meno drammatica di quanto si pensi.
E’ vero che da noi il cinema in sala sta morendo, ma se non produci film di un certo interesse perché il pubblico dovrebbe andarci?, ma si sta molto ricostruendo altrove. E bene. E può darsi che da questo nuovo tipo di produzione mista nascano nuovi modelli di film. Che si possa riportare un po’ di glam delle serie anche al cinema. E viceversa. Non è la crisi di pubblico a disturbarci, è la mancanza di buoni film in sala. Ma sono sicuro che le cose non siano affatto definite.
2 – 2018 BOTTEGHINI IN CRISI
Laura Zangarini per il “Corriere della Sera”
Un dopo le feste amaro per il cinema italiano. Non basta il segno positivo di dicembre, +3,8% rispetto al dato di un anno fa, a salvare dalla flessione degli incassi il box office. Che, rispetto a un 2017 già nero, l' anno appena trascorso registra un meno 5% circa . Secondo i numeri diffusi dal sito cineguru , che riporta i dati Cinetel (quelli completi Siae usciranno tra qualche mese), il botteghino 2018 complessivo è stato di euro 555.385.553 contro i 584.554.941 dell' anno precedente. Trenta milioni in meno: il dato peggiore degli ultimi dieci anni. Un calo che non è passato inosservato nemmeno oltreoceano, dove i numeri sono stati ripresi da Variety .
Che ha messo in evidenza due note positive: la crescita della quota di mercato del cinema italiano, passata dal 17,4% del 2017 al 22,3% del 2018; e i suoi incassi totali: 124 milioni del 2018 contro i 102 dell' anno prima. All' aumento di spettatori per il cinema domestico è corrisposta una flessione dell' attrattività dei film di Hollywood, i cui incassi sono passati dai 387 milioni di euro del 2017, ai 333 dell' anno appena concluso. Il film che ha incassato di più è Bohemian Rhapsody con 21.2 milioni di euro, seguito da Avengers: Infinity War (18.7 milioni), ma il numero dei biglietti venduti non arriva ai 90 milioni, soglia sempre superata negli ultimi dieci anni (il punto di riferimento al di sotto del quale l' anno è considerato negativo è 100 milioni di biglietti).
Note positive a parte, resta da registrare il trend negativo.
Legato in massima parte a una stagione estiva punitiva per il pubblico. Un problema diventato negli anni strutturale: basso numero di uscite in sala in estate, sovraffollamento nel periodo fino a Natale. Eppure circola, tra gli addetti ai lavori, un «ottimismo spinto», come lo definisce Luigi Lonigro, da ottobre nuovo presidente Anica (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali). Che commenta tranchant: «I dati diffusi fanno parte del passato di una filiera che ha cambiato passo. Numeri che vanno letti nell' ottica di criticità già individuate e alla cui soluzione hanno lavorato insieme produttori, distributori, esercenti».
Il 2019, annuncia, «sarà l' anno della svolta. Abbiamo pronta una stagione estiva spettacolare e puntiamo all' internazionalizzazione di un premio importante come il David di Donatello, per la cui promozione pensiamo a iniziative clamorose che annunceremo a marzo». Sulla stessa linea Mario Lorini, presidente dell' Associazione Nazionale esercenti Multiplex: «Il cinema italiano in estate non chiuderà più per ferie. Dal 30 maggio con l' uscita di Godzilla II proporremo una lunga serie di blockbuster che vanno dal sequel di Pets ai nuovi episodi di X-Men, Toy Story, Men in Black, solo per citarne alcuni ». Un risultato, prosegue, «reso possibile grazie a un piano triennale che garantirà quindi anche per le prossime stagioni un prodotto finalmente disponibile tutto l' anno».
Strategia che verrà varata grazie al sostegno del governo che, sottolinea Lucia Bergonzoni, sottosegretario Mibac con delega al cinema, ha dato il suo appoggio con una serie di iniziative, tra cui lo sblocco del bando per l' ammodernamento delle sale, intese innanzitutto come «presidio culturale e momento di aggregazione: non temiamo le piattaforme, cinema e streaming sono esperienze diverse. Sono certa che i dati a fine 2019 ci daranno ragione».
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