DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Marco Giusti per Dagospia
Film in gran parte “sociali con un argomento oscuro”, leggo. Anche “Squid Game” è un film sociale, sui danni che il capitalismo può fare alla gente comune, ma trattato come una favola dark. Anzi. Molto dark.
Ma Hwang Dong-hyuk, anche ideatore e sceneggiatore, della serie, che porta un gruppo di disgraziati già più morti che vivi, distrutti dai debiti, a iscriversi a una sorta di torneo di giochi infantili dove chi muore, muore davvero, non punta né al macabro né all’horror, lascia sempre spiragli di umanità se non di commedia.
Quello che stupisce lo spettatore occidentale, credo, è però tutto l’apparato grafico della serie, i set dove si svolgono le gare, i costumi delle guardie, i loro non volti, perfino il balletto dei massacri dei poveracci che perdono le partite.
Non c’è nulla di realmente nuovo, in fondo anche “Hunger Games” era così per non tornare alle vecchie corse della morte o ai film di gladiatori o al celebre “Most Dangerous Game”, ma il racconto è molto ben costruito e la violenza arriva nella più completa normalità, con una ossessione da una parte alla grafica e da un’altra ai rapporti umani tra i morituri che finisce per conquistarti.
Ma è evidente che sia una serie molto politica e molto critica nei confronti del sistema mondiale della elite dei ricchi contro i miserabili, tra “Parasite” e i ragionamenti frecceriani sul nuovo ordine mondiale.
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