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Marco Giusti per Dagospia
Sunset di Laszlo Nemes
Ecco, finiti i grandi film americani della prima settimana, in partenza tutti per Toronto, arrivano i mattoni europei. Poteva essere un grande film Sunset, opera seconda del giovane regista ungherese Laszlo Nemes, autore di Son of Saul, premio Oscar per il miglior film straniero un paio d’anni fa, freddissima documentazione molto realistica dei massacri nei campi di concentramento nazisti e seria testimonianza sul ruolo dei magiari. Poteva ho detto.
Perché il film parte benissimo, grande storia mitteleuropea alla Joseph Roth sulle contraddizioni e le crepe dell’impero austroungarico che porteranno a un secolo di tragedie. Una ragazza, Irisz Leiter, interpretata dalla inedita Juli Jakab, brava ma ha una sola espressione, arriva a Budapest nel 1913, un attimo prima dello scoppio della Grande Guerra. Ha lavorato per anni nella cappelleria Schwarz a Trieste e chiede quindi di essere presa a lavorare nella cappelleria che un tempo fu della sua famiglia e ancora porta il nome dei Leiter. I suoi genitori sono morti in un tragico incendio quando aveva due anni e l’azienda è sotto il controllo di Oskar Brill, Vlad Ivanov, che sceglie accuratamente le sue ragazze e si appresta a celebrare i trent’anni della ditta con una serie di eventi clamorosi.
L’arrivo di Irisz scatena però una serie di interessi diversi e di personaggi misteriosi che le fanno capire che qualcosa non va nella cappelleria e su tutto si staglia l’ombra di un fratello “mostro”, Kalman, già attivo da Brill, che ha ucciso un conte, marito di una bellissima donna che rimane affascinata dalla ragazza. “Scorrerà sangue questa settimana” dice alla nuova venuta uno dei misteriosi personaggi che le girano attorno. Irisz precipita così in una serie di eventi via via sempre più sanguinosi che la vedono da testimone diventare parte attiva del processo di disumanizzazione della situazione.
Con la sua tecnica già sperimentata, macchina mobile sulla schiena della protagonista, pochi tagli sul suo primo piano, ogni scena si apre sotto i suoi occhi come se noi la seguissimo in soggettiva, il film funziona fino a quando rimane una sorta di ricco e complesso giallo mitteleuropeo sulla cappelleria e sulla famiglia Leiter, molto meno quando prende una piega più metaforica e si capisce che l’ambizione di Nemes vola più in alto, tentare cioè una sorta di storia delle contraddizioni dell’Ungheria di inizio secolo come sorella dell’Austria imperiale.
Contraddizioni che porteranno alla nascita di qualcosa di mostruoso e di impossibile da evitare. Lungo, due ore e 18 minuti, assolutamente poco chiaro e fumoso, il film ha bellissime pagine di regia, una grande fotografia, un uso sapiente della musica, bellissimi costumi, ma logora parecchio anche lo spettatore più attento che ha letto Joseph Roth e conosce bene i grandi film in piano sequenza di Miklos Jancso.
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