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Marco Giusti per Dagospia
Roma di Alfonso Cuaron
C'erano solo tre giorni per vedere in sala il film più atteso dell’anno, il più che probabile vincitore di Oscar nel 2019. Poi lo vedrete su Netflix. In un bel bianco e nero con sottotitoli. Contraddizioni di quello che è diventata ormai la distribuzione al cinema in tutto il mondo. Sto parlando di Roma di Alfonso Cuaron, che forte del Leone d’Oro a Venezia è fino a oggi nelle nostre sale prima di finire nel mondo della non sala di Internet.
Messico e nuvole, insomma... la faccia triste dell'America e della distribuzione... Altro che Coco. Siamo a Città del Messico nel 1971, un anno dopo il mondiale di Mexico 70, in questo gran bel film di Alfonso Cuaron, Roma, appunto, minuziosa ricostruzione dei disastri nel privato e nel sociale di un paese dove si espropriano i terreni degli indios, si spara sugli studenti e i maschi fanno i padroni fascisti con le donne.
Mentre un marito con quattro figli molla la moglie Sofia, Marina de Tavira, per mettersi con una donna più giovane, la cameriera mixteca della famiglia, Cleo, la strepitosa Yalitza Aparicio, viene messa incinta da un bullo pazzo per le arti marziali, che fugge alla notizia della sua paternità. Le due donne, Sofia e Cleo, padrona e cameriera, si trovano così sole a affrontare una vita complessa e dominata da maschi padroni al di là delle gerarchie sociali. Attraverso la figura eroica della cameriera Cleo, Cuaron ci introduce alla grande casa borghese del quartiere Roma di Città del Messico, vero cuore del film.
Cuaron ce la mostra con grandi movimenti di macchina in un bianco e nero magistrale, è lui stesso il direttore della fotografia, che avvolgono i personaggi, per poi focalizzare il nostro sguardo con amore sulla figurina della cameriera, angelo di una famiglia e di un paese in disfacimento. La crisi di Cleo è la crisi di una borghesia e di un paese dove il potere si serve dei più deboli per reprimere qualsiasi ribellione.
Anche se non è, alla fine, un film politico a tesi, ma soprattutto un ritratto intimista di un'epoca, vissuta in prima persona dal regista, è ovvio che Cleo e la sua padrona Sofia diventino per noi spettatori i martiri del potere maschile fascista del paese. Donne borghesi e mixteche sono unite in questa solitudine.
Lecito pensare a un celebre film di Luciano Emmer, Camilla, dedicato al personaggio della cameriera di una famiglia borghese nella Roma biancoenero anni 50. Ma Cuaron non è affatto neorealista, e costruisce ogni scena quasi come una scena madre di regia, proprio dove un maestro come Emmer avrebbe tolto e abbassato i toni. Sono tempi diversi e i registi oggi tendono a stupirci. Il film si pone da subito come uno dei possibili campioni per l’Oscar, anche per quanto riguarda la protagonista femminile. Ottimi il cane cacone Barros, la Galaxy sempre abbozzata di Sofia, l'arrivo del luchador Zakov e la tv trash messicana d'epoca. Lo vedrete in sala? Chissà…
ROMA ALFONSO CUARON alfonso cuaron roma
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