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I GIORNALI ITALIANI SONO I PIÙ SCHIERATI D’EUROPA, E PARLANO A UN ''POPOLO'' CHE NON ESISTE - IL SONDAGGIO DI ''TERMOMETRO POLITICO'': LA FIDUCIA NELL'IMPARZIALITÀ DELL'INFORMAZIONE È SCARSA O SCARSISSIMA SIA A DESTRA CHE SINISTRA. MA GLI PIACE PERCHÉ COCCOLA LA PROPRIA VISIONE POLITICA
Nicolò Zuliani per www.termometropolitico.it
Quando scrivo o dico che siamo meglio di come ci raccontano i mass media, molti s’incazzano come se li avessi offesi sul personale. È come se reputare la propria patria e il proprio popolo una terra di infami e miserabili fosse, in qualche modo, consolatorio o appagante. Ne abbiamo parlato in redazione, e grazie ai potenti mezzi abbiamo incrociato due dati: orientamento elettorale e opinione sugli organi d’informazione, presi su un campione di 3000 persone.
Il risultato è stato il seguente.
Fonte: Termometro Politico
Forse per alcuni non è una novità, ma è un dato da non sottovalutare. Significa che la fiducia nell’imparzialità dell’informazione italiana è scarsa o scarsissima in entrambi gli schieramenti.
Fonte: Termometro Politico
Chi vota centrosinistra reputa l’informazione non affidabile ma equilibrata. Parafrasando, racconta favole rassicuranti. È tutto lì, nero su bianco: il 43% dei lettori non crede quello che legge o sente sia imparziale, ma gli piace perché coccola la propria visione politica. Questo viene confermato anche da un altro studio fatto dall’Università di Milano, in cui si evidenzia che i giornalisti sono “molto più a sinistra” non solo dei cittadini italiani in genere, ma dei loro stessi lettori.
È da anni che l’elite accademica tende al progressismo; il perché porterebbe a speculazioni non verificabili e, forse, inutili. Le conseguenze, invece, sono sotto agli occhi di tutti. Sempre più cittadini vanno dalla parte opposta perché come disse Obama, a furia di andare verso gli estremi sei destinato a perdere per strada i moderati. Uomini e donne che anche se non sembra, sono la maggioranza dei cittadini: solo che nessuno ha voglia di raccontarli.
Continuare a raccontare che gli italiani sono un popolo di razzisti, fascisti, intolleranti, criminali è la classica strategia a breve termine del manager incapace: per un breve periodo ti regala consensi, perché a tutti piace condividere articoli schierati per dimostrarsi duri, puri e migliori. Ma alla lunga avvelena irrimediabilmente i pozzi: vivere sull’orlo di una crisi di nervi, sentirsi circondati da mostri, rigirarsi nell’odio verso il proprio popolo, satura la psiche e ti fa abbandonare quel gruppo in funzione di qualcuno meno fanatico.
O nelle fauci del lupopulismo, se sbagli strada.
Del resto quella di scindersi in molecole irrilevanti pur di dimostrare ai propri simili di essere più puri è un meccanismo atavico della sinistra fin dai tempi dei Monty Python, col solito risultato di trovarsi con una popolazione a maggioranza moderata e di centrosinistra, ma con un governo di centrodestra. E giù a parlare di fascismo, di regime strisciante, di italiani popolo di razzisti. Una narrazione che goccia dopo goccia ha corrotto il cuore di questa nazione, un episodio di razzismo accentuato e un episodio d’integrazione taciuto dopo l’altro. Un crimine degli immigrati strillato e una storia di tolleranza sussurrata dopo l’altra.
È improbabile i giornali vorranno prendere in considerazione questi dati e cambiare strategia, perché è diventata un sistema stratificato e sorretto da vari pensatori ottuagenari. Meglio cercare di affondare chi ancora prova a essere imparziale come Il Foglio, o negare l’evidenza (Liliana Segre e i 200 insulti) e proseguire verso il patibolo frignando editoriali passivo aggressivi. Anche perché chi oggi dirige l’informazione pubblica è più interessato alla fama che agli introiti, non avendo bisogno dei secondi.
Non si può sperare che le direzioni dei giornali tornino indietro; Repubblica fece un esperimento di questo tipo quando cambiò direttore, provando a raccontare entrambi i punti di vista dopo vent’anni di antiberlusconismo. Fu un tracollo di copie dovuto non solo al fatto che oramai i lettori si erano abituati al peggio, ma anche alle statistiche drogate: la telenovela Berlusconi aveva trasformato i quotidiani in cloni di Novella 3000, era un baraccone che macinava miliardi e le vendite s’erano impennate.
l articolo di pietro colaprico su liliana segre
Il problema non è il popolo italiano se non in percentuali risibili, aumentate perché funzionava a livello di narrativa e per il principio della profezia autoavverante. Il problema sono uomini e donne mai candidati né eletti che dalle redazioni spiegano a leader o segretari di partito quali battaglie portare avanti, mentre ai lettori raccontano un’Italia romanzata, e tutto questo dall’alto di non si capisce cosa. Questi sono i quotidiani più letti nell’ottobre 2019: il FQ vende 500 copie in più di tale Dolomiten. Ecco, io a ‘sto punto invece di Travaglio voglio il direttore di Dolomiten – meglio se in vestiti tradizionali – che dice cosa fare al ministro degli esteri.
Perché hanno la stessa autorità.
E questo, stando ai sondaggi, non lo penso solo io.
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