DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Agostino Gramigna per il "Corriere della Sera"
«Mia figlia ha scritto un libro per sopravvivere».
Mentre cerca il suo numero di telefono e gli scappa un' imprecazione, lo scrittore Mauro Corona sintetizza in un titolo l' esperienza del dolore vissuta da Marianna. Quattro anni fa sua figlia aveva 38 anni e ha saputo di avere un cancro al colon. Si è chiusa. Ha blindato come in caveau la sua innata riservatezza. Del presente non sapeva cosa farsene. Fino a quando non ha guardato in faccia la malattia. Ha iniziato a scrivere e ha trovato la radice di se stessa.
Marianna è stata operata due volte. Adesso sta bene. «Il tumore mi aveva creato un disagio interiore. Ne sono uscita pian piano, ritornando a riconsiderare il corpo che sentivo distante, quasi repellente». Il corpo. Marianna l' ha sempre visto con gli occhi dell' atleta. Mai con i suoi limiti.
«Noi montanari cresciamo con l' insegnamento che bisogna essere sempre duri e forti. Come la montagna. È un immaginario che tempra. Prima della malattia mi sentivo forte. Una forza che mi veniva da questo paradigma. Invece ero fragile».
Ha dovuto ricostituire il paradigma.
«La malattia l' ho affrontata in punta di piedi - racconta - partendo dalla base senza guardare la cima. "Non guardarla mai che pian piano arrivi" mi ha sempre detto mio padre.L' uomo che mi ha trasmesso la passione per l' aria aperta e lo sport».
Marianna racconta. I fiori tra le rocce, le pecore che pascolano, le galline e i conigli dei nonni, l' orto, le pareti da scalare, le storie dei grandi scalatori che facevano visita a suo padre. Nei piatti il riso e gli spaghetti rigorosamente integrali.
«Erano gli anni delle cucine alternative, l' ambiente di casa era pieno di arrampicatori, l' arrampicata sportiva stava crescendo e loro s' inventavano queste diete.
Io non apprezzavo. Ma Manolo mangiava soltanto integrale e arrampicava da Dio. Ho pensato: mangio spaghetti integrali e voglio vedere se arrampico come lui».
Dopo l' operazione ha cominciato a guardarsi dall' interno.
«Che cosa significa in concreto? Si fa fatica a ritornare a camminare con lo stesso passo di prima. Così mi sono fermata. Osservavo come era fatta una pianta, gli insetti, le tracce lasciate da qualche animale di passaggio. Ho ridato dignità alla stanchezza. Ho ripreso confidenza con il corpo».
È stato in quel periodo che una casa editrice le ha proposto di scrivere il libro.
«Ho accettato con molti dubbi. Ho pensato di mollare. Non fa per me. Non sapevo come si racconta la malattia. Poi la creatività è come fuoriuscita. Durante il lockdown avevo solo un prato e io pascolavo anche due ore come una pecora. Il mio intestino aveva bisogno di camminate e leggevo mentre camminavo».
Nel libro ci sono le piante, i fiori, i pipistrelli, le marmotte, il fossile, le Dolomiti.
«La diagnosi è stata devastante, dolore allo stato puro, sofferenza. E richiesta di aiuto. Ho capito che se non si riesce a raccontare la propria sofferenza ci si arrocca nella paura. Il disagio mi aveva portato ad avere crisi di ansia, a sentirmi inadeguata a dire: ecco sono malata e tutto è finito».
Figurarsi poi l' idea di scrivere un libro...
«Già. Era l' ultima cosa che avrei voluto fare. In famiglia c' è già uno che scrive. Mi bastava... Che cosa ha detto mio padre? "Ti ho conosciuta di più in queste pagine che in tutta la vita". Sapeva del libro, chiedeva ma io restavo sul vago».
Un sospiro.
«Però da allora abbiamo iniziato a comunicare davvero, perché ho imparato a dirgli come sto attraverso gli sms. E anche lui si racconta e mi dice come sta. A voce non riusciamo a gestire l' emotività. Io sono riservata, chiusa, lui invece ha una personalità imperante. Meglio con gli sms. Lo smartphone? Non è capace di usarlo».
Ora Mariana dice che si scrive per sopravvivere.
«L' ho sperimentato in un anno distruttivo come il 2020. Anche se non pubblicherò più nulla scriverò sempre. È un bisogno fisico».
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