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Emiliano Liuzzi per il “Fatto quotidiano”
Forse lo puoi raccontare solo così, Francesco De Gregori. Per immagini. Perché è sfuggente, un’anima da sempre in pena, tranquillo nel trasmettere la sua immagine, in ebollizione dentro. E questo stato d’animo lo respiri solo attraverso le canzoni. E le fotografie, appunto. Scrivere una biografia vorrebbe dire troppo.
Così il De Gregori definitivo ce lo prestano Alessandro Arianti e Silvia Viglietti con un volume dal titolo Guarda che non sono io, in uscita in questi giorni, mentre lui, a Roma, registra un nuovo album di raccolte nel quale, questa è l’unica indiscrezione possibile, ci sarà un duetto con Ligabue. “Una storia – ancora in movimento – cominciata più di quarant’anni fa”, spiega De Gregori nell’ultima di copertina. Gli anni passano, lui invecchia poco, attento a chiudersi dentro a un paio di Ray ban e un cappello. Crisi di creatività ne ha attraversate molte.
De Gregori, negli ultimi anni, ha più spesso riarrangiato i suoi vecchi pezzi che non scritto album. A improvvisare cover si è divertito con Work in progress, la tournée con Lucio Dalla, ma si facevano il verso senza prendersi sul serio. Gigolò, l’unico brano inedito, traduzione di un pezzo di Louis Prima, italoamericano arrivato prima di Elvis. Detto questo De Gregori, come Lucio Dalla, c’è sempre stato. Più di ogni altro.
È stato il Marrakech Express per canzoni, un viaggio lungo le sponde d’amore e d’amicizia. De Gregori, come Dalla, sono stati con noi tra le dune del deserto e ai balli del ginnasio. Per questo, e una lunga serie di motivi, ripercorrerlo attraverso fotografie, è un buon motivo per accendere la musica e farsi cullare chissà dove. Ogni capitolo lo introduce De Gregori che, in questo libro, si è fatto parte attiva.
Francesco De Gregori e Rino Barillari
Per chi volesse anche una rara immagine molto prima del 1977: “Giravo con la chitarra, ogni occasione era buona per mettersi a suonare. Suonavamo un po' tutti”, e qui scopri che a differenza del titolo, è lui, De Gregori. Per chi si è messo sulle tracce della canzone italiana qualcuno che da giovane avesse suonato con De Gregori è facile incontrarlo. In una festa a Pisa, a casa di amici, a Roma, dopo il folk studio.
Dylan, sempre. Perché su De Gregori l’influenza dylaniana è palpabile più che su ogni altro cantautore italiano. Si è sempre mosso in quella bellissima palude che sta a mezza via tra Bob Dylan e Simon & Garfunkel, colonne portanti per l’intero cantautorato italiano. Non è un caso che alle primissime pagine del libro trovi un De Gregori con la “barba da uomo”, perché Buffalo Bill, che parlava di baffi, una citazione la merita comunque, al Chelsea Hotel. Soggiornare al Chelsea nel 1976 voleva dire appunto Bob Dylan.
È lì che il piccolo grande uomo di Duluth soggiornò diverse stagioni mentre frequentava il Village ed era ancora Robert Allen Zimmerman. Non aveva ancora scritto Blowin' in the Wind, ma lo avrebbe fatto di lì a breve. E Francesco, da quelle stanze, esce con Buffalo Bill, dopo aver già scritto uno dei suoi capolavori l'anno prima, Rimmel. Un pezzo da collezione (29.90 euro, Svpress editore) che ai degregoriani non può mancare.
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