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Alberto Mattioli per la Stampa
Chissà adesso, gli strilli indignati e offesi che si leveranno dalle parti dell' arte contemporanea, sferzata (a sangue) in The Square dello svedese Ruben Östlund, Palma d' oro 2017, che sembra quasi la versione scandinava e autoriale delle «vacanze intelligenti». Ed è solo il bersaglio più evidente di un film che spara anche sui media, sui sensi di colpa occidentali e, in generale, sul politicamente corretto.
Quindi, oltre che tempestata di diamanti (versione per il 70 o griffata Chopard), la Palma che va al freddo non metterà tutti d' accordo. Lo spiega chi l' ha attribuita, il presidentissimo della giuria, Pedro Almodóvar: «Questo film parla del politically correct, una dittatura orribile e terrificante come ogni altra dittatura. È il dramma di un uomo che non riesce a essere sempre corretto come vorrebbe. Il regista ha trattato il tema con un' incredibile immaginazione. E nel suo film sono tutti bravissimi, tanto che avevamo pensato di dargli anche il premio per l' interprete maschile (Claes Bang, ndr)».
Rincara la dose la giurata francese, Agnès Jaoui, confermando che il bel Claes non ha lasciato indifferente il pubblico femminile: «Io mi sono innamorata». Bang! A star is born (forse).
Ma, Almodóvar, lei alla vigilia del festival aveva detto che si aspettava di premiare un capolavoro come La dolce vita o Apocalypse Now . Crede che The Square sia a questo stratosferico livello? «Non dovevo dirlo ora. Però diverse volte, guardando i film di questo festival, ho avuto un brivido, ho sentito che erano dei grandi film. Fare paragoni è assurdo. Ma aspettiamo qualche anno, forse si dirà che sono capolavori».
Però tutti si aspettavano che uno come lei, così sensibile al tema dell' omosessualità, scegliesse il film di Robin Campillo sui ragazzi di Act Up, gli attivisti antiAids dei primi Anni Novanta, 120 Battements par minute , alla fine solo Grand Prix, diciamo la Palma d' argento: «L' ho adorato. Poi leggeremo i giudizi su questo Palmarès. Ma la giuria è democratica e io sono solo uno dei nove». E qui mastro Pedro ha un colpo da maestro e si commuove, proprio con la voce che si incrina e la lagrimuccia che spunta: «A parte la vicinanza alle tematiche Lgbt, Campillo racconta una storia di eroi».
A Campillo, ovviamente, si chiede subito di commentare quel che dice Almodóvar: «Io non so se quelli di Act Up fossero degli eroi, di certo erano dei sognatori che hanno avuto il coraggio di confrontarsi fra loro e con il potere. Io li ammiro».
Tornando ai giurati, che non siano stati unanimi lo dice il loro presidente: «Non si è visto il sangue, ma questo non significa che siamo anche stati sempre d' accordo». Will Smith sdrammatizza: «Tutto è stato armonioso e facile, a parte le spiritosaggini di Pedro». Paolo Sorrentino è silenzioso.
Dopo la giuria, c' è spazio per gli altri vincitori, almeno quelli che ci sono. Joaquin Phoenix sembra, al solito, seccato, anche della Palma per il miglior interprete maschile: «Un premio totalmente inaspettato. Tanto che partendo per Cannes avevo detto alla mia compagna: tornerò da lì molto più umile».
Infatti sotto lo smoking aveva un paio di sneaker francescane, non si è capito se per umiltà o perché si era dimenticato le scarpe giuste. Diane Kruger, invece, è raggiante. In the Fade , dove si vendica dopo che i neonazisti le hanno ucciso marito turco e il figlio, è la sua consacrazione di attrice: «Sono felice e fiera per questo premio. Oltretutto, è il primo film dove recito in tedesco. Con Fatih Akin (il regista di origini turche, ndr) è stato un incontro di anime. Lui è mio fratello».
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L' ultima parola, naturalmente, spetta al vincitore. Östlund: «Il mio film ha messaggi da trasmettere. Certo, ho cercato di fare un buon film, ma se vinci la Palma d' oro è chiaro che i tuoi messaggi passeranno». Tipo quello sull' arte contemporanea? «Ha aspetti positivi e negativi, ma credo che si possa criticarla. Come tutto».
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