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“SONO PIÙ ESTREMO DEGLI ALTRI CHE FANNO CANZONETTE A TAVOLINO” - I 50 ANNI DI CARRIERA DEL GRANDE SASSOFONISTA E COMPOSITORE JAMES SENESE: “LA SITUAZIONE DELLA MUSICA E' PEGGIORATA. FANNO TUTTI LE GALLINE. LE GALLINELLE, ANZI. COPIANO E VOGLIONO TUTTO E SUBITO - MI HANNO SEMPRE FATTO PESARE MOLTO L'AVERE LA PELLE DI UN ALTRO COLORE MA IO...”
Gianmaria Tammaro per www.lastampa.it
Dopo 50 anni di carriera, James Senese - sassofonista, compositore e cantautore, mamma napoletana, papà afroamericano - si racconta. Al «MIA Market» di Roma è stato presentato il documentario di cui è protagonista, diretto da Andrea Della Monaca e prodotto da Arealive e Audioimage. «Il bilancio che posso fare - dice - è che io sono ancora qua, e stringo i denti. Questa è una società difficile. C' è voluto del tempo per farsi accettare».
Perché?
«Perché sono più estremo degli altri che fanno canzonette a tavolino. Chiaramente non parlo dei grandi autori. Io sono un musicista che ha sempre pensato al domani, ciò che faccio non lo faccio solo per me, ma per la parte di popolo che non riesce a sopravvivere».
In questi anni la musica che ascoltiamo è peggiorata o è migliorata?
«Sicuramente peggiorata. Fanno tutti le galline. Le gallinelle, anzi. Copiano. Fanno solo questo. Tolti i maestri, nessuno va dove dovrebbe andare: nessuno fa la sua musica».
james senese ramazzotti jovanotti
Colpa dei nuovi o dei maestri assenti?
«Dei nuovi. Vogliono tutto e subito, ed è ancora peggio. E in questo senso i vecchi sono giustificati: hanno quello che hanno avuto con il tempo».
Manca spirito di sacrificio?
«Il sacrificio è una realtà molto precisa. Devi fare qualcosa per te stesso e allo stesso tempo per gli altri, e solo così puoi scoprire com' è fatta la vita. Volere tutto e subito significa essere una macchina».
Quando ha capito di voler essere un musicista?
«Avrò avuto 13 o 14 anni. Non parlo di realizzazione; la realizzazione è un' altra cosa, e si scopre più avanti nella vita. Parlo di passione. Mi piaceva lo strumento e la dimensione musicale. Questa scelta è stata giusta per me».
La musica è una via di fuga?
«Non dalla provincia, ma dal mio istinto di essere un nero americano. Mi hanno sempre fatto pesare molto l'avere la pelle di un altro colore; alcuni dicono che appartengo a un'altra razza».
E lei cosa risponde?
«Non ho mai negato chi sono; ho vissuto e vivo fino in fondo. Non è una cosa che posso dimenticare: le offese ricevute, le denigrazioni».
L'Italia è un paese razzista?
«Il problema esiste sempre; non cambia mai niente. La nuova generazione non attinge da sentimenti passati; la nuova generazione attinge dai suoi sentimenti. È sempre lo stesso. È una storia che si ripete. Chi non mi conosce, mi vede solo come un nero».
Cos'è Napoli per lei?
«È la mia città. È quello che sono. Gli odori, i sapori, i sentimenti: ogni cosa fa parte di me, non posso farne a meno».
Lei e la sua musica siete arrivati in un momento di rivoluzione in Italia.
«Con Napoli Centrale abbiamo rotto qualunque argine e limite, e nello stesso momento sono riuscito ad aiutare un fratello come Pino Daniele a trovare la strada giusta».
In che modo?
«L'ho aiutato a capire dove stava la musica. Pino all'inizio era solo rock'n'roll. Io, invece, ero da tutt'altra parte. Napoli Centrale è nata dalla musica di artisti come Miles Davis e John Coltrane».
La sua musica è stata sottovalutata?
«È stata rispettata. Il problema, forse, è il popolo che fatica a capire i sentimenti. Pino ci è riuscito, ma ci ha messo molto tempo. E se vede adesso, Pino è un po' dimenticato. Lo sentiamo troppo poco».
Che cosa cerca nel futuro?
«E chi lo sa. Futuro è una parola difficile. Le dico la verità: io passo tutti i miei giorni, tutte le mie ore, sulla musica. Ho ancora tanto materiale».
Alla fine, la musica cos'è?
«La musica è la vita. Mi ha dato una libertà che non avevo. Una libertà che vorrei dare a tutti gli altri».
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