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Antonio Fiore per www.corriere.it
Vacanze di Natale ma con Sapore di mare: Jerry Calà ha appena festeggiato con un affollato one-man-show diurno nella piazzetta anacaprese di Santa Sofia il premio con cui la 27esima edizione del festival “Capri, Hollywood” lo ha incoronato “King of Comedy”. Mentre a febbraio inizierà le riprese di un film di cui è regista e protagonista, tutto girato tra Napoli, Monte di Procida e Ischia con produzione (Vargo Film) e cast tutti partenopei: il titolo e i nomi degli altri attori sono top secret, si sa solo che è la storia comica e buffa del sequestro di una star del cinema, il sospetto è che il rapito sia proprio Calà.
«E pensare che sono un professore mancato di greco e latino», scherza ma non troppo l’attore di tanti film “fichissimi” ricordando gli studi classici al Liceo Maffei di Verona e l’iscrizione alla facoltà universitaria di Lettere antiche a Bologna. “Ma mi fermai al primo anno. Avevo già capito che la mia strada era un’altra…”. Una strada bella lunga, visto che nel 2021 in una Arena di Verona gremita lei ha celebrato i suoi primi “50 anni di libidine” e oggi, a 71 anni, è pure diventato Re.
Calogero Calà, catanese cresciuto a Milano e poi a Verona per seguire il papà prima interprete per la compagnia inglese di bandiera, poi dipendente e infine dirigente dell’Ufficio Informazioni delle Ferrovie italiane, sarà contento come una Pasqua anche se Natale è appena passato.
«Altro che libidine: doppia libidine. Ora Capri, prima l’Arena. E chi se la scorda quella sera meravigliosa del 20 luglio: io sul palco con tutti gli amici e i colleghi di una vita, Ezio Greggio, Massimo Boldi, J-Ax, Fabio Testi, Gigliola Cinquetti, Katia Ricciarelli, ovviamente la mia ex moglie Mara Venier… ma anche tanti altri grandi della musica come Fausto Leali, Maurizio Vandelli dell’Equipe 84, Shel Shapiro dei Rokes. Ma come, mi chiedevo incredulo, questi erano gli idoli che da ragazzino ammiravo seguendo il Cantagiro, e adesso stanno qui a fare festa con me!».
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Anche perché, studi classici a parte, nel suo destino non c’era la recitazione ma la musica.
«Modestamente nasco come bassista nel gruppo beat più giovane di Verona – ma forse d’Italia - nei ’60, i Pick Up, età media 14 anni. Ma la folgorazione per la scena è arrivata poco dopo, quando entrai nella filodrammatica del liceo: facevamo degli spettacolini in cui alternavamo gospel, spiritual, canzoni di De Andrè a sketch in cui facevamo satira, persino sui professori.
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E mi resi conto che alle mie battute il pubblico rideva molto di più che a quelle degli altri: capii che era quella la mia vera vocazione. Così uscii dallo Studio 24 (era il nome della filodrammatica) ed entrai in un gruppo di soli quattro, perché con me c’erano altri tre compagni di scuola, Umberto Smaila, Nini Salerno e Franco Oppini. Non lo sapevamo ancora, ma erano nati I Gatti di Vicolo Miracoli».
Un omaggio a una stradina di Verona, mi pare.
«Sì, ma una stradina molto particolare, perché su un lato di quel vicolo c’era un bordello e di fronte c’era l’ufficio delle tasse. In pratica, da tutti e due uscivi in mutande».
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Gli anni eroici del cabaret, il successo al Derby Club di Milano fianco a fianco con giganti come Cochi e Renato, Jannacci, Villaggio. E poi a Roma l’incontro con il cinema.
«Un incontro piuttosto buffo: una persona che ci aveva preso a cuore ci segnalò al regista Mino Guerrini, quello della serie sul Colonnello Buttiglione, che ci chiamò per una breve apparizione nel film che stava girando, un Buttiglione-movie, appunto.
Ma solo al termine delle riprese scoprimmo che ci avevano scritturato perché il resto del cast era in sciopero: finì che quasi ci linciavano. Poi però arrivarono i “veri” nostri film: “Arrivano i Gatti” e “Una vacanza bestiale”, che era un film di Vanzina molto avanti per l’epoca: infatti RaiTre, che è una rete molto intellettuale, ogni tanto lo manda in onda».
Eppure fu il cinema a causare la sua uscita dai Gatti. Come andò?
«Tutta colpa, anzi merito, del mio mentore: Bud Spencer».
In che senso?
«Stavo girando un film con lui, un sogno per me, all’insaputa degli altri Gatti. La sera facevo le serate con loro, e la mattina dopo mi presentavo sul set, distrutto. Bud un giorno mi aspettò a braccia conserte, nella tipica posa Bud Spencer. “No, così non va, vedo che fai fatica. Devi scegliere: o le serate, o il cinema”. Scelsi».
E venne il primo successo da protagonista assoluto con “Vado a vivere da solo” di Marco Risi. E poi i trionfi al botteghino con i Vanzina, le Vacanze dovunque, gli Yuppies. Ma nel bel mezzo della festa lei pianta tutti e se ne va a vivere, anzi a girare un film in Norvegia.
«Quei titoli degli anni ’80, così invisi alla critica, sono in realtà una fotografia molto nitida e fedele, anche se ovviamente sopra le righe, dell’Italia di quegli anni. Per non dire che film come “Sapore di mare” hanno rilanciato di colpo la musica italiana dei ’60, creando un revival infinito che infatti dura tutt’oggi. Ogni volta che mi incontra, Edoardo Vianello ancora mi ringrazia.
E poi, con “Vacanze di Natale”, abbiamo spinto pure la musica degli ’80: il mio arrivo a Cortina sulle note di “I like Chopin” è diventato un mito. Per non parlare di “Maracaibo”: tutti pensano che io mi sia arricchito con i diritti di quella canzone. Ma non è mia, è di Lu Colombo! Ma dicevamo della Norvegia: scelsi di fare quel film, “Sottozero”, perché mi sembrava di essere uscito da un gruppo, i Gatti, per entrare in un altro, quello della cinecommedia svagata, disimpegnata. Forse sbagliando, e certamente rinunciando a compensi ben più alti, volevo misurarmi anche come attore drammatico.
Così nell’87 accettai con entusiasmo di trasferirmi su una piattaforma petrolifera in mezzo al nulla per questo film scritto da Rodolfo Sonego, il leggendario sceneggiatore di Alberto Sordi.
Ma il regista Gian Luigi Polidoro era talmente rispettoso anche delle virgole dello script che, ogni volta che io sul set mi inventavo qualcosa che non era prevista nel copione, Polidoro dava lo stop e correva a telefonare a Sonego per sapere se potevo o non potevo fare queste minime “variazioni”: alla decima telefonata di Polidoro, in cui l’autore gli rispondeva “Ma lascialo fare!”, Sonego chiamò il produttore Bonivento per chiedere di fargli il biglietto per la Norvegia, e mi raggiunse. Sono l’unico attore ad aver avuto sul set lo sceneggiatore ad personam».
E cinque anni dopo arrivò un’altra telefonata, quella di Marco Ferreri.
«Con il suo accento da milanese romanizzato mi disse “Ue’, ma tu come sei drammatico?”. Io risposi subito “Bravissimo, maestro”. E lui: “Allora fai un film con me”, e buttò giù. Io, che stavo guidando (era l’epoca dei primi telefonini, quelli grossi così) quasi vado fuori strada per l’emozione. Poi però chiamai un amico che lo conosceva, e che mi confermò che era proprio Ferreri ad avermi telefonato, e che non si trattava dunque di uno scherzo. Cominciò così l’avventura di “Diario di un vizio”.
Quel film in cui interpretavo un erotomane alquanto disperato rappresento’ la mia rivincita sui critici nostrani, che al Festival di Berlino vollero premiarmi come miglior attore. Salvo poi, quando ripresi a girare i soliti “filmetti”, stroncarmi di nuovo ferocemente. Ma il ricordo più bello resta la risposta di Marco Ferreri che, con i giornalisti che gli chiedevano perché avesse scelto il comico Calà per un ruolo così intenso, sbottò: “L’ho scelto perché i comici sono i più bravi attori drammatici”. Per dirla con Jerry: capitto?!
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