la guerra dei roses

L’ODIO CONIUGALE - EMANUELE TREVI RACCOGLIE IL MEGLIO DEI PEGGIORI MATRIMONI LETTERARI: ‘LE UNIONI INFELICI MI SEMBRANO UN SOGGETTO ARTISTICO DI ENORME INTERESSE. NON PARLO DELLA COPPIA IRACONDA, MA A CHI HA DECISO DI DETESTARSI IN MODO STABILE, SERENO, LUNGIMIRANTE. C' È UNA COPPIA COSÌ IN OGNI CONDOMINIO, IN OGNI FAMIGLIA, IN OGNI GRUPPO DI AMICI’

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Emanuele Trevi per la Lettura - Corriere della Sera

 

EMANUELE TREVI 1EMANUELE TREVI 1

Lo confesso come un limite personale: la felicità amorosa, nelle vite degli altri come nei romanzi e nei film, non suscita in me la minima emozione. La celebre fotografia del Bacio di Robert Doisneau, immagine ideale e sintetica di ogni lieto fine, mi ha sempre ispirato un ingiusto, ma irrefrenabile imbarazzo. Le unioni infelici, invece, mi sembrano un soggetto umano e artistico di enorme interesse.

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Non parlo della coppia iraconda e incline alle scenate, chiassoso e precario organismo destinato a scindersi in modo più o meno cruento. Mi riferisco a chi ha deciso di detestarsi in modo stabile, sereno, lungimirante: senza bisogno di alzare la voce, di arrivare al dunque una volta per tutte. C' è una coppia così in ogni condominio, in ogni famiglia, in ogni gruppo di amici. Sono esseri straordinari da contemplare, avvinti da un bisogno reciproco più forte di ogni soddisfazione, di ogni gioia possibile.

 

Mi ricorderò sempre di due coniugi di mezza età, senza figli, due persone molto distinte che per anni hanno vissuto sul mio stesso pianerottolo. Mi regalavano degli straordinari viaggi in ascensore. Era evidente che entrambi detestavano ogni aspetto, fisico e morale, dell' altro, con un tale inflessibile e trattenuto rigore da far pensare a una vera unione mistica. Quando ci avvicinavamo al piano, iniziava tra i due una sorda lotta tra chi tirasse fuori per primo le chiavi: chissà quale arcano simbolismo attribuivano a questa supremazia.

Cronache maritali Marcel JouhandeauCronache maritali Marcel Jouhandeau

 

A tale scopo, arrivavano alla slealtà di ficcarsi reciprocamente tra le braccia un minuscolo cagnolino che agitava le sue zampette fremendo di stupore. Quei due si erano impartiti una specie di sacramento. Nelle sue insuperabili Cronache maritali (Adelphi) Marcel Jouhandeau, poeta dell' abiezione e fervente cattolico, definisce questo mistero coniugale «il battesimo del disprezzo».

 

Ma cosa succede, tra due esseri umani che in qualunque modo «si legano»? La conoscenza dell' intimità è abbastanza recente nella storia occidentale: non più vecchia, ad ogni modo, della chimica e delle macchine a vapore. Pur avendo esperienze presumibilmente simili alle nostre, i nostri avi non consideravano molto rilevante questa sfera dell' esistenza.

 

 

Proiettavano l' amore vero in varie forme di impossibile, dall' adulterio alla metafisica. Dante sarebbe rimasto a bocca aperta se qualcuno gli avesse chiesto se il suo era un matrimonio felice. Una cosa sembra sicura: l' umanità ha sempre sperimentato un problema relativo alla durata, una specie di naturale appiattimento o rinsecchimento degli affetti più vivi.

 

Secondo uno dei maggiori filosofi di oggi, François Jullien, tale carenza non va interpretata come una colpa individuale, non ricade insomma sotto il dominio della psicologia. È una carenza che semmai riguarda l' Essere nella sua totalità. Ogni volta che la presenza dell' altro si installa e diventa sicura e prevedibile, scrive Jullien, fatalmente sprofonda nell' opacità. Non riusciamo più ad avvertirla. Meglio sarebbe stato rimanere lontani. La prospettiva di Jullien è interessante perché, oltre a mostrarci il male ontologico, accenna anche ad alcune strategie capaci di mantenere viva la presenza.

francois jullien accanto a leifrancois jullien accanto a lei

 

Da sommo interprete e conoscitore del pensiero cinese, Jullien sa bene che a un certo punto, per essere credibile, la filosofia deve pur dare qualche consiglio sulla vita. Accanto a lei si intitola un piccolo e illuminante libro che sta per uscire anche in Italia (il 26 gennaio da Mimesis), non privo di qualche lieve accenno autobiografico. Il problema è che Jullien sembra pretendere molto dalla saggezza dei suoi lettori.

 

Alla fine, è come leggere una dieta che non saremo in grado di seguire. Ho il sospetto che molti di noi, in queste delicate materie, abbiano bisogno di insegnamenti molto più rudi. Farò un esempio presente nella memoria di tutti: quella geniale commedia nera, ormai un vero classico del cinema, che è La guerra dei Roses.

 

Non esito ad attribuire a questo film un notevole valore filosofico. Ci mostra una situazione umana e i suoi problemi, cioè un matrimonio in crisi, non dal punto di vista di una possibile terapia, ma da quello della catastrofe progressiva e inarrestabile.

 

Due vecchi libri ristampati in questi mesi hanno rafforzato le mie convinzioni sul potere di rivelazione della catastrofe matrimoniale. Il primo è L' arringa di un pazzo , scritta in francese da August Strindberg tra il 1887 e il 1888 (Adelphi). Il secondo è di Jakob Wassermann, l' autore del Caso Maurizius (Fazi) , ed è intitolato dall' editore italiano Castelvecchi Il mio matrimonio .

 

il mio matrimonio jakob wassermanil mio matrimonio jakob wasserman

In realtà quest' ultimo non è un testo autonomo, bensì una straordinaria gemma narrativa estratta da un ciclo molto più ampio e intitolata nella versione originale Ganna o il mondo della follia . Senza nulla togliere al loro altissimo valore letterario, entrambi i testi sono anche confessioni o memoriali, e come tali vennero letti al loro tempo. La vicenda è molto simile: un incontro abbastanza casuale e gratuito si trasforma, non si sa bene perché, nel più assurdo e universalmente deprecato dei matrimoni. Seguono lunghissimi anni di sofferenze e frustrazioni inenarrabili: il matrimonio tra Strindberg e la baronessa Siri von Essen durò dal 1877 al 1891; addirittura più lunga è la vicenda raccontata da Wassermann, iniziata nel 1898.

 

A mio parere, parte dell' impatto sconvolgente che hanno queste due narrazioni dipende proprio dalla lunghezza di questo duello all' ultimo sangue. Strindberg è decisamente un misogino, come si sa; Wassermann molto meno o affatto, ma entrambi subiscono il carattere delle loro mogli come una follia senza scampo, destinata a inghiottirli nel suo insensato labirinto, giorno dopo giorno. Sia che mordano il freno, sia che si ribellino, sia che cerchino di stabilire illusori compromessi, ogni loro atto non fa che impaniarli maggiormente nella rete da cui vogliono districarsi. Ma vogliono davvero districarsi? Qui sta il senso poetico più profondo delle loro confessioni.

la  guerra  dei rosesla guerra dei roses

 

È vero che esaltano in ogni occasione il tempo che precede la caduta in quella che Wassermann definisce «la trappola». Sono artisti e rimpiangono, mitizzandolo, un tempo di purezza e solitudine, in cui erano padroni di consacrarsi alla loro vocazione. Più di ogni altro affronto, quelle donne hanno portato nella loro vita un principio di disordine materiale ed emotivo, hanno instaurato uno stato di emergenza al posto della sospirata normalità di cui tutti gli altri sembrano godere.

 

Eppure, non smettono di osservarle, con la stessa cupa attenzione che il malato riserva alla sua malattia («quella donna aveva inoculato se stessa nel mio sangue», ragiona Strindberg col vocabolario pseudo-scientifico che gli è caro). Gli amici, gli avvocati, i parenti fanno da coro greco in questa tragedia incomprensibile. Prima di ogni buon consiglio, è la loro stessa ragione a indicare delle vie di scampo. Ma loro restano lì, pietrificati da una Medusa in vestaglia e pantofole. E se i loro atti di accusa sono dei capolavori letterari così avvincenti, ciò si deve proprio al fatto che quel conflitto è diventato il loro mondo, o meglio che tutto il mondo è impregnato di quel conflitto, di quell' odio così smisurato.

 

Ecco un caso che forse andrebbe analizzato nell' ottica suggerita da François Jullien. Nel regime dell' odio coniugale, in effetti, non si realizza quel fenomeno paventato dal filosofo, quando ci spiega che la presenza dell' altro, per la sua stessa natura, tende a diventare opaca e in definitiva a perdere consistenza e significato, divorata dall' abitudine. Ancora più dell' amore felice, insomma, l' amore infelice, sotto forma di costrizione matrimoniale, fa dell' altro un continuo e imprevedibile prodigio. Finendo per esaltare al massimo quelle qualità intellettuali, quei tratti forti del carattere, che solo in apparenza vengono sprecati nell' interminabile conflitto.

 

Mai la paranoia di Strindberg trovò un pane più degno dei suoi denti della sua aristocratica consorte, che nelle pagine più infuocate del suo «libro atroce», come lo definisce lui stesso, sembra quasi un parto della sua mente folle e visionaria. Quanto a Wassermann, il protagonista del suo romanzo si fa sfuggire una domanda rivelatrice: «Una mitomane non è forse la compagna ideale per un romanziere?».

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Di sicuro, leggendo questi libri, iniziamo a sospettare che la vita non abbia offerto, a questi uomini esasperati, nulla di meglio di quanto avevano da offrirgli le loro presunte aguzzine. Questo, mi sembra, è uno dei più profondi misteri dell' animo umano, capace di estrarre preziose energie anche dalle sorgenti più inquinate.

 

Trasformando tutta l' esistenza in un perenne litigio, queste coppie infernali raggiungono un grado di irrealtà che assomiglia a uno stato di esaltazione magica, o poetica. Oltre un certo limite, non c' è più nessun compromesso, nessuna terapia possibile. Ma le persone che si trovano incastrate in questo destino non sempre, non necessariamente hanno bisogno di guarire. In perfetta complicità, sembrano impegnate in un piano molto più ambizioso: ridurre la violenza del mondo a un affare casalingo, a un problema di economia domestica.

 

Noi possediamo innumerevoli modi di farci del bene, compreso quello di farci del male, in determinate circostanze. Del resto, quelle che ci raccontano Strindberg e Wassermann sono storie lunghe, dove nessuno prevale mai totalmente sull' altro, e nessuno viene annientato una volta per tutte. L' importante è che, anche seguendo questa via storta e detestabile, si può raggiungere quella condizione di riguardo per l' altro tanto necessaria, secondo Jullien, perché la sua presenza non si appiattisca, non perda valore e significato.

strindberg l arringa di un pazzostrindberg l arringa di un pazzo

 

Quando si è ormai reso conto di aver fatto un passo falso e irreparabile sposando una donna così impossibile, così diversa da lui, il protagonista del libro di Wassermann ci racconta che a volte, accarezzandole i capelli, la chiamava Seelchen , «piccola anima mia», cioè «il diminutivo più tenero della lingua tedesca». Che quella parola, la parola più tenera che esista, possa essere rivolta all' essere che più si detesta al mondo, senza per questo smettere di detestarlo, non è una contraddizione o un effimero cedimento. Semmai, è il sigillo di una verità umana sperimentata fino in fondo, una scintilla di autentica saggezza.