DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1 - TINA TURNER LA REGINA DEL ROCK'N'ROLL
Estratto dell'articolo di Marinella Venegoni per “la Stampa”
TINA TURNER A BERLINO NEL 1979
La diva. L'unica autentica diva nera del rock e r'n'b dei tempi ruggenti. Rispettata e ammirata e invitata dal parterre del rock più maschilista: dai Rolling Stones a Rod Stewart o Eric Clapton, tutti l'hanno trattata come loro pari e invitata a duettare; non si ricordano altri casi del genere, anche se poi tante volte da sola è riuscita, sui palchi di mezzo mondo, ad esibire una grinta che valeva per quattro.
La regina, sexy e scatenata. E l'unica, anche, a non esser morta giovane dopo una vita sregolata: Tina Turner se n'è andata ieri a 83 anni a Zurigo, dopo una lunga malattia e con accanto il secondo marito, il discografico tedesco Erwin Bach, del quale scrisse nella sua autobiografia, «Mi ha fatto il regalo della vita stessa». Vivevano insieme in Svizzera dai secondi Anni 80 ma si erano sposati nel 2013: lui le aveva donato un rene nel 2017, in uno dei tanti delicati momenti che hanno costellato l'ultima parte dell'esistenza della star, funestata da vari problemi di salute; un ictus, appunto l'insufficienza renale, un cancro.
(…)
Che fosse destinata a diventare una regina, si capì da subito con pezzi come la celeberrima Proud Mary dei Creedence Clearwater, Nutbush City Limits, River Deep Mountain High: la sua voce era ruggente, fisico e gambe meravigliose, una forza della natura alla quale era difficile resistere. Nel ‘75, aveva recitato in Tommy di Ken Russell. Eppure furono proprio quelli con Ike anni durissimi per le violenze casalinghe, finché Tina se ne scappò via lasciandosi tutto alle spalle, ricominciando quasi da capo come solista in un ambiente mai generoso con le donne soprattutto sole.
Passo dopo passo, con l'aiuto del manager Roger Davies, rifiorita anche nel look con un'eleganza molto rock e una pettinatura molto copiata, ricostruì da capo dal 1980 la sua carriera in una chiave più popolare, con cover e pezzi che lasciavano il segno: Private Dancer fu il primo album a vendere milioni di copie, ma i dischi tenevano dietro a imperdibili concerti nei quali esibiva grinta e canzoni dinamiche, con balletti che la coinvolgevano e singoli che si appiccicavano alle orecchie: We don't need another hero colonna sonora di Mad Max oltre la sfera del suono nell'85 dove ebbe una parte, Break Every Rule come album ebbe una montagna di date quando girò in tour, e a Rio entrò nel Guinness per 180 mila spettatori. Nel 1993 duettò perfino con Eros Ramazzotti in una sensuale Le cose della vita.
Mai nessuna aveva osato tanto, ma era la sua natura che prendeva il sopravvento e i rockettari stavano a guardare e imparavano: Mick Jagger confessò di aver preso da lei il modo di stare in scena. Era ammirata, fu a lungo e forse ancora oggi senza rivali: va detto che solo occasionalmente il mondo del giornalismo musicale (sessista quanto i rockettari) le diede lo spazio che avrebbe meritato, e la sua bravura finì sempre in secondo piano rispetto alle disavventure che ne avevano segnato la vita, sorte tipica delle star femmine.
Ha venduto in tutto più di 200 milioni di dischi, e "Foreign Affaires" è stato il primo tour di una donna negli stadi, un tour dell'addio che nei primi ‘90 tagliò fuori gli Stati Uniti, come a rimarcare la distanza verso la sua vita passata. Successo strepitoso pure lì. In carriera ha vinto 12 Grammy Awards, 7 premi Billboard, la rivista Rolling Stone l'ha messa al posto n. 17 fra i cantanti migliori di sempre. Ma quando dopo il tour d'addio si rifugiò finalmente in Svizzera, a trovare un po' di pace accanto al marito, chi la conosceva bene pensò che aveva trovato il riconoscimento più adatto.
TINA TURNER RACCONTATA DA DUE PREMI OSCAR
Estratto dell’articolo di Matteo Persivale, apparso su «Sette» ad aprile 2021
mick jagger tina turner david bowie
«Vivevo una vita fatta di morte». La voce di Tina Turner arriva dal passato remoto della sua vita straordinaria, da un vecchio nastro magnetico con il fruscio di sottofondo del registratore impolverato, il tasto «play» sbiadito. Autunno 1981. Tina decide di raccontare alla rivista People, cinque anni dopo la separazione, perché ha lasciato il marito Ike, suo mentore, collaboratore e talent scout. Racconta, al giornalista che registra incredulo - «doveva essere un’intervista come le altre, niente di speciale» - le botte, le intimidazioni, la paura costante, i pestaggi continui - in tour, in macchina, a casa - gli occhi neri, i tentativi di suicidio per cercare di uscire da quella vita impossibile.
L'orrore
Riascoltati oggi, tanti anni dopo,quei nastri fanno ancora orrore e sono alla base del documentario, Tina, mandato in onda dalla Hbo negli Stati Uniti con successo tanto clamoroso quanto imprevisto (ma lei, che oggi ha 81 anni, ha passato la vita a stupire chi la sottovalutava). L’unica cosa che impressiona più delle vecchie registrazioni? L’intervista in video del 2019 nella quale Tina racconta ancora una volta la storia dei pestaggi ma aggiungendo dettagli in più, quasi in modo clinico, come se parlasse di un’altra. Ike che impugna le forme di legno delle scarpe o le grucce dell’armadio, la pesta, la butta sul letto, «e poi mi prendeva», gonfia e sanguinante. Lei che finalmente decide di scappare dopo il pestaggio di Dallas, 3 luglio 1976, punita con un manrovescio per aver rifiutato un cioccolatino ciancicato. Tina che si ribella per la prima volta, attraversa la superstrada a piedi («Ricordo il boato dei clacson di quei tir enormi») e si rifugia senza soldi nell’albergo di fronte: «Ho solo la carta a punti del benzinaio, se mi date una camera per questa notte vi manderò i soldi appena arrivo a casa».
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La libertà
Lei nel 1966 cerca di affrancarsi incidendo River Deep - Mountain High con Phil Spector, il genio del «muro del suono», altro uomo mostruoso (morto in carcere dopo una condanna per omicidio, sparò in testa a una ragazza conosciuta in un locale) ma dal talento senza limiti, Spector le dice «non cantare solo la melodia» e le regala per la prima volta, finalmente, libertà, pagando Ike per stare fuori dalla sala di registrazione (peraltro Spector ai funerali di Ike, 2007, insulterà Tina in un’orazione funebre meschina e crudele: la sua tesi è che Ike avrebbe potuto scegliere una fan a caso e trasformarla in Tina Turner). River Deep - Mountain High per George Harrison era «un disco perfetto» ma inizialmente va male negli Usa perché era troppo avanti (in Italia ne fece una cover Iva Zanicchi ma questo purtroppo nel film non c’è), Spector perde molti soldi e Tina incassa la prima sconfitta senza Ike al suo fianco - e i registi vanno a recuperare un filmato del marito con ciuffo impomatato e baffetti che gongola, «era un disco troppo nero per i bianchi e troppo bianco per i neri», mentre a lei che finge di succhiare una caramella vengono i lucciconi.
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La ripartenza
I primi anni di Tina senza Ike - lei gli lascia tutto, diritti sulle canzoni, casa, soldi e macchine, chiede solo al giudice i diritti sull’utilizzo del nome «Tina Turner», «voglio solo la pace» - sono difficili, economicamente e artisticamente. Concerti dove capita, la diva diventata supporter finita a cantare nei casinò, comparsate ai quiz televisivi per ex celebrità bollite dove a Tina - bella come il sole - il conduttore con cravattone e giacca inamidata chiede viscido «dov’è Ike?» e lei risponde «non lo so», sorridendo, nella voce il dolore di colei che capisce che non si libererà mai del suo aguzzino. Il buddhismo la aiuta a ritrovare equilibrio - ascoltiamo anche il suo mantra, ipnotico, affascinante - e lei continua a studiare ballo, nuove coreografie, migliora la tecnica perché «non credevo di avere una bella voce, non avevo la voce di Diana Ross», e il trionfo di Tina Turner è anche il trionfo di una voce da mezzosoprano per niente classica, non la più agile né la più bella né la più cristallina, ma la più indimenticabile.
Il sogno
Un giovanissimo impresario australiano va a vederla in un night, lei che potrebbe essere sua madre canta mentre la gente sta cenando. Una delle più grandi artiste musicali del dopoguerra canta cercando di sovrastare il rumore di posate e chiacchiere, lui dopo, forse per gentilezza, le chiede quale sia il suo obiettivo e lei risponde sicura «riempire gli stadi» come Mick Jagger al quale aveva insegnato a ballare tanti anni prima, una frase che adesso suona come la profezia che è stata in realtà ma allora deve essere sembrata il sogno impossibile e un po’ patetico di una cantante ultraquarantenne passata dal successo discografico anni 60 ai piano bar del 1980.
Invece Tina si trasferisce a Londra, «tanto non avevo amici in America quando stavo con Ike», il tempo passa, l’impresario tenta il tutto per tutto e le presenta un tizio che ha scritto una canzone. «Entro in studio e c’è questo omino seduto su una sedia, con i piedi che non toccano terra, e penso: chi è, uno gnomo?». L’omino, però, ha scritto una canzone che si chiama What’s Love Got to Do with I t. E qui Tina diventa la storia della vittoria contro tutti: i milioni di copie vendute dal disco del ritorno di Tina sul suo trono, Private Dancer. I concerti, la pioggia di Grammy, il tour senza fine che riempie gli stadi come aveva previsto lei anni prima in quel night che sapeva di cucina e sigarette, Rock in Rio e 180 mila persone che la acclamano, lei che scende dal cielo su un enorme braccio meccanico e scavalca la rete di sicurezza per sporgersi, perché tanto non ha paura più di niente.
La fama globale mentre Ike musicalmente scompare, la ricchezza, la lunga solitudine che viene spazzata via nel 1986 da quello che dopo decenni di amore diventerà il suo secondo marito, il manager discografico Erwin Bach, tedesco, 17 anni più giovane ma sembrano 27, pare un ragazzino ma è l’uomo al mondo più diverso da Ike: educatissimo, premuroso gentleman che le apre sempre la porta, assoluta discrezione (finiranno a vivere in una bella villa lacustre in Svizzera, lei ha anche preso la cittadinanza), profilo bassissimo, indipendenza («Per splendere non ha bisogno di togliermi luce», spiega Tina, ultima stoccata per il fantasma di Ike).
Nell’ultimo atto del documentario Bach è il quieto supereroe che risolleva non solo l’umore di Tina, a quel punto nel 1986 vincente ma sola: salva anche la reputazione del genere maschile dopo la parata di uomini osceni - il padre di Tina, Ike, Spector - che si avvicendano nel film. Bach, quando Tina ormai anziana si ammala gravemente, le dona un rene salvandola dalla condanna alla dialisi e confermando ancora una volta tutto quello che lei aveva sempre pensato di lui: «Mi ha insegnato cos’è l’amore».
Prima dei titoli di coda c’è tempo per l’epilogo con il musical sulla vita di Tina che trionfa a Londra nel West End, poi a Broadway, e qui i registi trattano con infinito rispetto il passo non più spedito di Tina quando arriva alla prima, al braccio del marito non più ragazzino ma bel signore ultrasessantenne. La tigre si risveglia però dietro le quinte: quando la protagonista la invita in scena, Tina entra con la grinta dei bei tempi, illuminata dai riflettori, avvolta da un uragano di applausi che sembra non finire mai.
QUANDO RAMAZZOTTI NON LE FECE LA DOCCIA CON LO CHAMPAGNE
Estratto dell'articolo di Mario Luzzatto Fegiz per il Corriere della Sera
Tina Turner aveva un debole per Eros Ramazzotti. Si sentiva un po’ mamma e aveva verso il giovane cantante italiano una particolare benevolenza. Così Tina era felice di lavorare con lui. Questa amicizia aveva portato a un duetto che era divenuto popolarissimo sul brano «Cose della vita». E Tina non poteva mancare nella lista degli invitati alle nozze di Eros Ramazzotti con Michel Hunziker....
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