NE VEDREMO DELLE BELLE: VOLANO GIÀ GLI STRACCI TRA I TECNO-PAPERONI CONVERTITI AL TRUMPISMO – ELON…
Marco Giusti per Dagospia
"The Master" di Paul Thomas Anderson.
Lontano. Sul concetto di lontananza, "away", e' costruito il miglior film della Mostra visto finora, il molto atteso e chiacchierato "The Master", complessa biografia che Paul Thomas Anderson dedica alle sette americane degli anni 50 e al fondatore di Scientology Ron L. Hubbard. Lontano dalla famiglia, dal proprio paese, dall'amore, dal sesso, dalla guerra, ma anche lontani da se stessi.
Un non riuscire a ritrovarsi, a tornare a casa che lo psicopatico Freddy, interpretato da un Joaquin Phoenix che si e' totalmente reinventato, anche fisicamente, sente sul proprio corpo martoriato e schizzato, un fascio di muscoli e nervi sempre pronti a esplodere, e che si placa solo con l'amicizia, anzi l'amore, di quello che si presenta come il suo Master, cioe' la guida spirituale, il guaritore e capo della setta, Lancaster Dodd, filosofo e medico cialtrone interpretato alla perfezione da Philip Seymour Hoffman.
Ma Freddy rimane alla fine lontano anche da lui. Corpo impossibile che riesce a avvicinarsi solo alla donna di sabbia che ha costruito in riva al mare in guerra, e corpo in lotta con se stesso che riuscira' a tornare troppo tardi dal suo amore Doris, che aveva abbandonato anni prima, per scoprire che lei e' partita, si e' sposata con un certo Jim Day, ha fatto due figli ed e' diventata cosi' Doris Day, proprio come la star del cinema.
Solo in una sala di cinema, guardando un cartone animato di Casper, il fantasmino in cerca di amici che non puo' toccare, Freddy sogna che il suo Master gli abbia telefonato, dicendogli che finalmente ha capito in quale vita lo ha gia' incontrato. Ma gia' sappiamo quanto sia irrecuperabile, sballato Freddy e distante da qualsiasi amore.
"Fissa un punto, parti e ritorna", gli dice in pieno deserto il Master mettendolo su una moto. Freddy parte per un punto infinito e sappiamo che non tornera'. Da quello stesso deserto abbiamo visto uscire dentro uno scrigno sepolto, come in un cartoon di Bugs Bunny e Elmer Fudd, il manoscritto inedito del santone. Un romanzo enorme che, dira' un affiliato della setta, si poteva ridurre in un pamphlet di tre pagine. Massima offesa.
Anche "The Master" si poteva ridurre in un pamphlet di tre pagine, e molti critici lo hanno gia' ritenuto troppo lungo e ingombrante, poco chiaro rispetto alla dipendenza da Scientology del regista, una spanna sotto i suoi gli altri suoi film, da "Il petroliere", che ha la sua stessa struttura e un gran lavoro musicale di Johnny Greenwood dei Radiohead, a "Magnolia", che gia' trattava il tema del guru.
Ma ha una tale messa in scena, una tale e continua ricerca visiva, un livello cosi' alto di recitazione da lasciarsi comunque senza parole. Certo, "Il petroliere" partiva da un romanzo possente e aveva cosi' un'impostazione narrativa più solida. Ma in qualche modo "The Master" continua lo stesso discorso sulla storia americana che Anderson aveva aperto col film precedente.
Se quello era un film sul possesso del petrolio e quindi sul potere imperialistico americano, sulla rapacita', proprio il "greed" alla Stroheim, "The Master" e' un film sul possesso delle persone e dei loro sogni, su un'America disgregata degli anni â50 che prova a ricompattarsi su un delirio religioso costruito su sentimenti confusi di liberta' e d'amore (come in "Elmer Gentry" di Richard Brooks) e sulle invenzioni più assurde legate alla fantascienza e alla letteratura di serie Z.
Tutto finto, certo, a cominciare dai sentimenti di libertà e d'amore deviati del Master. Tutto ambiguo, se pensiamo alla tensione sessuale che il Master prova per Freddy, il discepolo sbagliato. Anche se l'unico sentimento vero e' l'amore che prova il Master per Freddy, il corpo che nessuno riuscira' possedere, nemmeno Freddy stesso.
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