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Estratto del libro di "L'ultimo compagno" di Concetto Vecchio
«Quando, nel pomeriggio del 9 luglio 1943, gli alleati bombardarono Caltanissetta, io mi trovavo nel letto di Lina.» «Lina» annoto sul taccuino. «Era la madre dei miei figli»
precisa Macaluso. E mi scopro a fantasticare su due amanti avvinghiati in
un amplesso, mentre dal cielo piovono bombe sulla Sicilia.
«L’avevo conosciuta nel 1941, dopo che ero stato dimesso dal sanatorio. Antonio Lo Bue, un coetaneo che abitava nel mio stesso palazzo, col proposito di farmi svagare, mi aveva invitato a un pomeriggio danzante a casa di questa donna, Michela Di Maria, detta Lina. Non c’erano balere a Caltanissetta. Si ballava negli appartamenti, godimenti rari nel nostro ambiente sociale poco incline ai divertimenti. Iniziammo a conversare. Aveva vent’anni.»
L ULTIMO COMPAGNO - IL LIBRO DI CONCETTO VECCHIO SU EMANUELE MACALUSO
«E tu diciotto» gli dico. «No» mi corregge, col solito puntiglio. «Ne avevo ancora diciassette. Era molto bella» aggiunge, come distraendosi. «Aveva marito e due figli, Enza e Franco. Si era sposata a quattordici anni con un uomo piu anziano di lei di diciotto anni, una guardia municipale.»
«Quattordici anni?» lo interrompo stupito. «Quattordici anni» sillaba. «Sua madre era rimasta vedova giovane e Lina si era maritata che era ancora quasi bambina. Apparteneva a un ceto piu elevato del mio, i suoi commerciavano in mandorle. Ballare con lei mi turbo moltissimo. Sentii nascermi dentro un sentimento violento. Ci tornai una seconda volta e cominciai a corteggiarla con discrezione, intuii subito che ero pudicamente corrisposto. E cosi ci innamorammo» dice Emanuele.
Mi piace come lo dice: «Ci innamorammo». Un vecchio leone del Novecento, rotto a tutte le esperienze della politica, ambizioso e duro, che esprime in due parole un sentimento semplice e umanissimo.
Si alza senza preavviso e scompare in camera sua. Ciabatta al di la della porta, come il pensionato della canzone di Guccini «lo sento da oltre il muro che ogni suono fa passare». Torna tenendo in mano una scatola e vi estrae delle vecchie foto in bianco e nero. Lina ed Emanuele negli anni Sessanta durante una vacanza. Lina da sola, il corpo snello fasciato in un vestito a fiori, lo sguardo acuto e vivo. Loro due con i ragazzi, nell’Italia tutta di corsa del boom economico. Macaluso ha quarant’anni e sbandiera l’aria sorniona di una maturita soddisfatta.
Lo osservo mentre rovista in quel giacimento di ricordi. Cosa gli sommuove quel cercare? Cosa vuol dirmi nel farmi conoscere Lina? Il suo respiro pesante riempie la stanza e c’e gia, in quel cercare, la risposta a tutte le mie curiosita. Poi, tenendo in mano quelle istantanee, riprende il filo della narrazione.
«Cominciammo a vederci, seguendo una trama complicata di incontri clandestini. Una mattina che suo marito era in servizio mi invito a casa sua. Avevo scoperto il sesso tempo prima, bussando alle porte di una prostituta che esercitava in “un basso”, pretendeva una lira per quel po’ di amore. Era una donna di quasi quarant’anni, ne bella, ne particolarmente desiderabile. Mi fece lavare e ci accoppiammo. Fu tutto cosi veloce e confuso, che ne provai un senso agro. Non ci tornai piu.
In citta erano attive tre o quattro case chiuse, una per ogni ambiente sociale. Forse perche sentivo che quelle donne erano soggette a uno sfruttamento contro il quale mi battevo, o forse perche semplicemente mi ripugnava pagarle, mi imposi di non frequentarle piu, seppur sentissi montarmi dentro l’urgenza del sesso.
Lina mi aveva preso la testa. Entravo e uscivo da casa sua sgattaiolando, attento a non farmi scoprire dai vicini. Erano incontri rari, resi impervi dai sotterfugi ai quali dovevamo sottostare. Certe mattine d’estate facevamo delle passeggiate in campagna, per parlare in pace e stare insieme.»
«Non vi scoprirono?» chiedo, lasciando trasparire la mia incredulita. «No» risponde deciso. E per una volta non so se credergli. «Caltanissetta e piccola» ribatto. «Non ci scoprirono» assicura.
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