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Marco Giusti per Dagospia
Mai giocare coi marziani. Soprattutto quando te li porti a zonzo per lo spazio e pensi che siano simpatici polipetti quando sono mostri assatanati di sangue. La lunga scena iniziale di Life buon film di fantascienza post-Alien e post-Gravity, diretto dal quarantenne svedese Daniel Espinosa, scritto da Paul Wernick e Rhett Reese, è un impressionante piano sequenza che segue i sei componenti dell’equipaggio di una navicella spaziale, Jake Gyllenhall, Rebecca Ferguson, Hiroyuki Samada, Aryon Bakar, Ryan Reynolds e Olga Dihovichnaya, mentre si muovono sospesi in assenza di gravità per curare il terriccio e una forma di vita che hanno trovato su Marte.
Un po’ come in Gravity, col suo geniale piano sequenza che copre tutta la prima del film, la tecnica di ripresa e lo stile di regia sono le vere novità di storie che ripetono, alla fine, un copione che già conosciamo. Ovvio che il marzianino che i sei astronauti curano amorosamente, chiamato affettuosamente Calvin, si rivelerà un orrendo mostro succhiasangue che cercherà di eliminare i terrestri uno alla volta.
E ovvio anche che i terrestri, un a volta capito chi hanno davanti, cercheranno di far di tutto per non portarlo sul nostro pianeta. Espinosa sa come costruire un meccanismo horror e sa come girare un film del genere. Ha dalla sua un bel cast, dove non brillano solo i già noti Jake Gyllenhall, nel ruolo di David Jordan, un medico che odia l’umanità dopo quello che ha visto in Siria e non ha nessuna intenzione di tornare sulla terra, o Rebecca Ferguson, nel ruolo di Miranda North, la dura del gruppo, ma anche gli inediti, per noi, Aryon Bakar, uno biologo nero inglese paraplegico sulla terra ma volante nello spazio, e Olga Dihovichnaya, Kat, la comandante della nave, mentre Hiroyuki Samada è l’ingegnere.
Espinosa ha imposto anche la scelta di un finale che, sembra, non sia stato molto gradito alla produzione, ma che aggiunge un certo significato al film. La storia, però, ricalca un po’ troppo situazioni già viste e per quanto ci si sforzi di costruire scene o personaggi inediti, alla fine non è che siamo di fronte a qualcosa di veramente nuovo. Inoltre il tour de force del piano sequenza iniziale non è ripetuto nelle scene successive. Ma il film si vede con grande piacere e il marziano Calvin funziona parecchio. Anche se è un po’ troppo appiccicoso. In sala.
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