1- QUANTI CASINI PER SAVIANO! LO SCRITTORE GIAMPIERO ROSSI, AUTORE DI DUE LIBRI SULLA STRAGE DELL’AMIANTO, L’ACCUSA DI AVER “ATTINTO A PIENE MANI DAL MIO LAVORO” 2- “NEL MONOLOGO DI MERCOLEDÌ SONO STATI PALESEMENTE TRATTI DIVERSI PASSAGGI DA “LA LANA DELLA SALAMANDRA” E IL RECENTISSIMO “AMIANTO”: PERCHÉ, DUNQUE, NON RICONOSCERE A CHI HA INVESTITO TANTO, ALMENO LA PATERNITÀ DI QUEL SUO LAVORO?” 3- “COSA ACCADREBBE SE DOMANI IN UN MIO LIBRO, O IN UN ARTICOLO UTILIZZASSI FRASI, IMMAGINI ED EPISODI TRATTI DA “GOMORRA” AMALGAMANDOLI A UN MIO SCRITTO SENZA DIRE CHE LI HO PRESI DA UN TUO LAVORO? TRA CHI SI SPENDE PER IMPORTANTI BATTAGLIE ETICHE E CULTURALI CI SI ATTENDE CONDOTTE COERENTI. IN QUESTO CASO "LA MACCHINA DEL FANGO" NON C'ENTRA. È SOLO UNA QUESTIONE DI CORRETTEZZA”

Lettera di Giampiero Rossi a "il Fatto quotidiano"

Caro Saviano,
ti scrivo a proposito della trasmissione di mercoledì sera e, in particolare, della tua narrazione iniziale della tragica vicenda della strage dell'amianto a Casale Monferrato. Ho apprezzato che una voce molto ascoltata abbia deciso di affrontare questo argomento al quale, da giornalista e da cittadino, mi sono appassionato al punto da dedicarvi anni di lavoro ininterrotto che finora hanno portato alla pubblicazione di due libri. Di conseguenza mi ha inevitabilmente gratificato il fatto che tu, l'altra sera, abbia scelto di attingere a piene mani dal mio lavoro.

Anzi, dai miei lavori, dal momento che i libri dai quali sono stati palesemente tratti diversi passaggi del tuo bel monologo sono due: La lana della salamandra, che proprio il direttore del giornale che oggi ospita questa lettera pubblicò in allegato all'Unità nel 2008 (e che poi è stato tradotto e pubblicato in Spagna, Francia, Brasile e Messico), e il recentissimo Amianto. Processo alle fabbriche della morte che invece racconta tutto il processo Eternit, arricchito dalle emozioni e dai ricordi dei familiari delle vittime.

Quello che ho trovato assai meno piacevole, però, è una certa mancanza di riconoscimento per chi quel lavoro lo ha realizzato. Tu lo sai bene, fare un'inchiesta, una ricostruzione storica, un racconto completo di vicende complicateedenormi,comequesta, comporta davvero tanta pazienza, volontà, tempo, passione. Perché, dunque, non riconoscere a chi ha investito tanto, almeno la paternità di quel suo lavoro?

Eppure non sono pochi i particolari che hai scelto di utilizzare nel tuo racconto e che, guarda caso, sono tutti presenti in quei due libri (nel primo soprattutto) e non altrove, perché si tratta di racconti, confidenze, piccole sfumature emerse dalla mia lunga frequentazione della gente di Casale e della signora Romana Blasotti Pavesi in primo luogo.

Per esempio l'episodio del cinema, la scelta di "Ninotchka" con il Mario che l'aveva già visto, non lo troverai da nessuna parte, solo ne La lana della salamandra; oppure le piccole chiavi di lettura germinate spontaneamente, da sole, mentre il libro veniva scritto (i Tartufi il Barbera e Krumiri, "la città bianca"...), o il dialogo tra Marengo e Pondrano che in trasmissione è stato ripreso dallo stesso libro, dove peraltro (e me ne scuso) è riportata in una versione lievemente incompleta.

In quello nuovo, se vuoi, la trovi nella sua versione originale, in dialetto, contenuta anche negli atti del processo di Torino. E poi molte altre suggestioni, dettagli o personaggi che non sono rilevanti per la storia in sé, ma che a suo tempo mi erano sembrati utili per la narrazione: il Palombaro, la panettiera, il cappello di feltro del capo, il bancario, la spiaggetta... Ripeto, mi fa piacere che certe immagini siano risultate valide anche per il tuo racconto televisivo, però ti chiedo: cosa accadrebbe se domani in un mio libro, o in un articolo utilizzassi frasi, immagini ed episodi tratti da Gomorra amalgamandoli a un mio scritto senza dire che li ho presi da un tuo lavoro?

Ci sono questioni più gravi e più serie, certo, ma almeno tra chi si spende per importanti battaglie etiche e culturali ci si attende condotte coerenti. In questo caso "la macchina del fango" non c'entra. È solo una questione di correttezza. So bene anche che la televisione ha le sue regole: ma esistono mille modi per rispettarle e al tempo stesso non calpestare altre regole deontologiche e diritti altrui. Ho notato, tra l'altro, che per i pochi fotogrammi proiettati alle tue spalle, qualcuno ha avuto la premura di citare la fonte. Perché per le immagini sì e per le parole no? Eppure proprio le "parole" sono state il cuore della trasmissione.

Insomma, Roberto, vai avanti con le tue importanti campagne di informazione , acculturamento e sensibilizzazione di tanti giovani e meno giovani del nostro smemorato paese, continua il tuo prezioso lavoro, ma - per favore - sii più attento anche al lavoro dei tanti colleghi che cercano di fare altrettanto, quasi sempre con minore visibilità ma quasi mai con minore impegno. Sono sicuro che citare chi ha fatto cose che hai trovato interessanti e utili non toglierà assolutamente nulla al tuo valore e al tuo prestigio. Buon lavoro.

2 - COSÌ LO SCRITTORE NELLA SUA PERFORMANCE TELEVISIVA

1. MARIO la invita subito a fare una passeggiata e ad andare al cinema, a vedere "Ninotchka", perché Romana ama Greta Garbo. Mario quel film l'ha già visto, ma lo rivede per portarci lei.

2. QUANDO VIENE aperta la fabbrica, Casale è conosciuta per i tartufi, i vigneti di Barbera, e i Krumiri.

3. DURANTE LA SECONDA guerra mondiale i piloti dell'aviazione inglese e americana che sorvolavano il Nord Italia vedevano una grossa macchia bianca sotto di loro e da quella capivano che erano proprio sopra Casale Monferrato. Era la polvere della fabbrica dell'Eternit, la fabbrica di amianto di Casale Monferrato, per tutti la "città bianca".

4. UNA FIBRA DI AMIANTO che galleggia a un metro di altezza impiega anche un giorno intero prima di posarsi sul suolo

5. INDOSSAVANO SEMPRE un fazzoletto in testa, perché non volevano avere i capelli grigi per la polvere...

6. UNA VOLTA IL CAPO del personale venne giù al Cremlino e disse che non c'era affatto polvere lì dentro. Ricordo che aveva un cappello nero di feltro. Un operaio glielo sfilò dalla testa e lo posò su una macchina. Poi gli disse: ‘Vieni a prenderlo fra otto o nove giorni e vediamo se qui non c'è la polvere'. Non lo rividero mai più lì sotto. Poi abbiamo saputo che anche il capo era morto di mesotelioma.

7. EVASIO INDOSSAVA una mascherina che gli copriva bocca e naso, poi si sigillava dentro la tuta da lavoro con degli elastici che gli chiudevano le maniche, il collo e il fondo dei pantaloni. Così conciato, sembrava proprio un palombaro e tutti infatti lo chiamavano così, "il Palombaro".

8. L'AMIANTO ERA CONOSCIUTO fin dall'antichità. Nell'antichità era chiamato "lana della salamandra".

9. GIOVANNA, CRESCE in quel negozio e va a scuola in bicicletta sulle strade imbiancate di polvere d'amianto. Nel tragitto da casa al liceo era costretta a togliersi le lenti a contatto perché la polvere le rendeva insopportabili. A lei e ai suoi amici piaceva andare a giocare sulla famigerata "spiaggetta" sulla sponda del fiume, risultato dello scarico dei reflui dell'Eternit. Andavano lì a prendere il sole, c'erano molti pescatori e le famiglie facevano grigliate.

3 - COSÌ IL GIORNALISTA NEI SUOI LIBRI SULLA "LANA DELLA SALAMANDRA"...

1. "ANDAMMO a vedere "Ninotchka", perché a me piaceva tanto la Greta Garbo - ricorda - ma poi venni a sapere che lui lo aveva già visto". La lana della salamandra, pagina 24

2. FU NELL'AMBITO di quel processo di espansione che avvenne l'insediamento a Casale, in una terra ancora contadina, terra di tartufi, di vigneti di Barbera, Freisa e Grignolino, che assieme ai "Krumiri Rossi" avevano fama ben più ampia dei confini del Monferrato. pagina 49

3.UN'AREA dalla vocazione cementifera. Una tradizione economica dal lungo respiro, tant'è vero che ancora durante la Seconda guerra mondiale Casale veniva chiamata "la città bianca" e gli aerei alleati non riuscirono mai a distruggere il suo grande ponte sul Po perché una costante nube di polvere chiarissima ne impediva la vista ai bombardieri. pagina 50

4. UNA FIBRA DI AMIANTO liberata a un metro di altezza, infatti, può impiegare anche 24 ore prima di toccare il suolo. pagina 72

5. DONNE CON IL FAZZOLETTO sulla testa. Lo mettevano sempre, le operaie dell'Eternit, per non ritrovarsi con i capelli completamente bianchi.

6. UNA VOLTA IL CAPO del personale venne giù al Cremlino e disse che non c'era affatto polvere lì dentro - racconta ancora Anna Maria Giovanola - ricordo che aveva un cappello nero, di feltro. Un operaio glielo sfilò dalla testa e lo posò su una macchina. Poi gli disse: "Vieni a prenderlo fra otto o nove giorni e vediamo se qui non c'è la polvere". Non lo rividero mai più lì sotto. Poi abbiamo saputo che è morto anche lui di mesotelioma. pagina 56

7. OLTRE A INDOSSARE costantemente una mascherina che copriva bocca e naso, infatti, lavorava con sacchetti di plastica bloccati da elastici che gli chiudevano ermeticamente (almeno, lui pensava che così fosse) le maniche, il collo e il fondo dei pantaloni. Pondrano, che gli era molto amico, gli diceva scherzosamente che sembrava "un palombaro".

8. SECONDO UN'ANTICA credenza l'amianto altro non era se non "la lana della salamandra", cioè del piccolo anfibio ritenuto (erroneamente) in grado di sfidare il fuoco senza danno. pagina 48

9. CON LA BICICLETTA bisognava stare attenti, addirittura non cadere, perché la polvere era di due dita. (pagina 89) (...) E a scuola, la figlia della panettiera non può neppure usare le lenti a contatto, tanta è la polvere che si sparge nell'aria. (pagina 90 ) (...) Noi da bambini andavamo sulla spiaggetta a giocare, da grandi noi ragazzini andavamo a prendere il sole. (pagina 95)

 

COPERTINA DEL LIBRO DI GIAMPIERO ROSSI MAFIA A MILANOGIAMPIERO ROSSI COPERTINA DEL LIBRO DI GIAMPIERO ROSSI LA LANA DELLA SALAMANDRA ROBERTO SAVIANO A QUELLO CHE NON HO jpegROBERTO SAVIANO E FABIO FAZIO IN _QUELLO CHE NON HOLIBERTA E GIUSTIZIA ROBERTO SAVIANO jpegROBERTO SAVIANO E FABIO FAZIO IN _QUELLO CHE NON HO