DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, con una mostra che ha appena debuttato e che durerà fino al 19 gennaio 2020 la Galleria Nazionale d’Arte Moderna onora il piccolo “il piccolo grande editore” Vanni Scheiwiller (era nato a Milano l’8 febbraio 1934) a vent’anni dalla sua morte. Ebbene, non c’è giorno della mia vita e della mia memoria che io non incroci il suo nome e il suo destino, quello di un uomo che tutta la vita si è speso a editare e tentare di vendere i gioielli più rari e più obliqui della letteratura e della poesia italiana e non soltanto italiana. E non soltanto letteratura, ma anche l’arte in tutte le sue varianti e suggestioni, a cominciare dall’opera immane di Bruno Munari.
Non più di una settimana fa, ipnotizzato come sono da uno di quei gioielli, la prima edizione di “Contemplazioni”, il libro d’artista che lo scultore Arturo Martini pubblicò nel 1918 in pochissime copie e di cui a tutt’oggi se ne conoscono una copia, forse due, ho chiamato la libreria Pontremoli di Milano per sapere se loro ne avevano per caso la quarta edizione (by Scheiwiller) dato che la seconda e la terza edizione – anch’esse rarissime – ce le ho.
contemplazioni arturo martini 2
Era successo difatti che da vivo Martini avesse bissato paro paro quel libro nel 1936 e successivamente nel 1945, in quest’ultimo caso arricchendolo di testi che lui aveva dettato a un suo discepolo. Per farvene un’idea è un libro che appare nel 1918 in un piccolo formato e il cui contenuto era puramente grafico, linee verticali e orizzontali incise su legno che si intersecano a costituire come un racconto meraviglioso, un libro che se lo prendi in mano e se pensi al momento in cui è stato partorito da Martini, il tuo cuore comincia a battere forte.
Impossibile che un libro siffatto, e a cominciare dal suo piccolo formato, sfuggisse all’amore strabordante di Vanni per i libri importanti e rari e che non avevano avuto alcun successo di pubblico o di nomea. “In fatto di libri non ho nulla contro il successo, ma neppure contro l’insuccesso”, era solito ripetere Vanni.
giampiero mughini col casco foto di bacco
Ebbene nel 1967, in occasione del ventesimo anniversario della morte di Martini, Vanni edita in mille copie un’edizione in facsimile tratta dai legni originali del 1918. Stesso formato, stesse pagine, stessissimo racconto grafico. Probabilmente Vanni s’era avvalso della seconda edizione del 1936, di cui aveva certamente una copia nella sua immensa collezione. Al tutto era accluso un foglietto lievemente colorato con un ricordo di Martini di Carlo Scarpa. Ebbene questo libriccino per me altrettanto sacro alla Pontremoli lo avevano. Ovviamente l’ho comprato a volo.
Avrò in casa un centinaio di libri editi da Scheiwiller, libri in sedicesimo uno più piccolo dell’altro, uno più prelibato dell’altro. Leccornie, da quanto trasudavano l’amore, la passione sfrenata con cui Vanni li aveva messi al mondo. Aveva cominciato diciassettenne. S’era messo in proprio, subentrando a suo padre Giovanni, nel 1952. Era stato il padre, da direttore della mitica libreria Hoepli a Milano, a creare nel 1925 la casa editrice All’Insegna del Pesce d’Oro, dal nome di una trattoria toscana che lui frequentava e che più tardi venne rasa al suolo dalle bombe degli Alleati.
Ebbene Scheiwiller padre prediligeva un formato ancora più piccolo, sette centimetri e mezzo alla base per dieci di altezza, mentre il formato più ricorrente dei librini di Scheiwiller junior è undici centimetri e mezzo alla base per diciassette di altezza. In tutta la sua vita ne ha fatti tremila.
Andai per la prima volta a casa sua come in pellegrinaggio una quarantina d’anni fa, o poco meno. Non era una casa, era un covo d’arte e di intelligenza in ogni suo piccolo particolare, a cominciare da alcune splendide sculture dello zio Adolfo Wildt. I libri poi era come se eruttassero e dalle pareti e dal pavimento su cui erano pile alte un metro che dovevi attraversare zigzagando.
Alla porta di quella casa, mi raccontò Vanni, a metà degli anni Cinquanta qualcuno bussò. Vanni andò ad aprire e si trovò di fronte Giuseppe Prezzolini, il primo magister dell’editoria italiana novecentesca, uno che lui non aveva mai visto prima. Mentre Vanni lo guardava a bocca aperta, Prezzolini mise subito le cose in chiaro: “Guardi che non sono venuto per chiederle qualcosa, ma soltanto per dirle quanto apprezzo il suo lavoro di editore”.
Prezzolini era in quel momento un nome maledetto dagli analfabeti di sinistra (tantissimi). E quindi cadeva a fagiuolo con Vanni, il quale è stato il miglior editore moderno di Ezra Pound, e tanto per dirne uno. A Vanni i “maledetti”, gli extra legem, i dissidenti, andavano tutti a meraviglia. Quando Felice Chilanti, l’ex fascista che negli anni Cinquanta era stato il più famoso giornalista comunista italiano ruppe con il Pci, Vanni gli pubblicò uno dopo l’altro i suoi libri che raccontavano l’amputazione dolorosissima da un mondo che era stato profondamente il suo. Potremmo continuare all’infinito con questo tipo di liste e di autori e di libri.
Erano tutti libri che nelle librerie stavano nel più riposto degli scaffali, di cui si vendevano a stento qualche centinaio di copie. Ogni volta dovevi chiedere e rovistare o, molto più frequentemente, comprarli nelle librerie antiquarie. Vanni saliva sul treno e si faceva il giro delle librerie italiane a farsi pagare il venduto, qualche migliaio di lire, cosa che lasciava esterrefatto Eugenio Montale: esterrefatto che uno si sottoponesse a tanta fatica per incassare quattro soldi.
E del resto Vanni in treno lavorava, e per questo sceglieva i treni di cui sapeva che erano poco frequentati, sicché se ne poteva stare da solo nello scompartimento a ritagliare incessantemente dai giornali tutto quello che lo interessava. E non c’era nulla che non lo interessasse, e purché fossero cose belle. Tutta la mia vita l’ho adorato, e tutta la mia vita lo adorerò.
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Giampiero Mughini
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