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1 – MONTANARI CHE ODIANO LE DONNE
Mirella Serri per “Tutto Libri – la Stampa”
BIANCA BERLINGUER MAURO CORONA
Se la strada del piacere passa per la violenza: donne strangolate, fanciulle fustigate e rese irriconoscibili, bambine concupite e assaltate. Solo così riescono a soddisfare i propri appetiti erotici i feroci protagonisti di “Nel muro” (Mondadori, pp. 278, e. 19, 00) di Mauro Corona.
Alpinista, scultore, scrittore di libri di gran successo, in quest’ultimo romanzo si cimenta con il genere pulp e mette crudamente in scena le pulsioni che spingono i maschi impotenti e solitari a spargere il sangue di tante vittime innocenti. Dopo aver narrato nelle opere precedenti la bellezza e il potere salvifico della natura, parossisticamente Corona svela il lato buio e la follia che si annidano nelle sue montagne.
In questo delirio (concepito in 15 mesi di psicofarmaci ingollati con boccali di vino o di birra, come racconta lo stesso autore) i torturatori infieriscono pure sugli amati animali. Il gusto del supplizio da parte dei più turpi si esercita sulle bestie compagne di vita e fonte di sopravvivenza. Con l’espediente del racconto gotico e con la vicenda di tre mummie trovate in un’intercapedine del muro, il romanziere cerca di dare spiegazioni a tanta abiezione.
Ma il pulp non ha bisogno di un eccesso di motivazioni. Basta il punto di vista degli assassini poiché Corona sa egregiamente raccontare la perversione, la viltà e la disonestà degli uomini che odiano le donne. Il male appare in tutta la sua nefandezza. Scavare, in senso metaforico e reale, non serve.
Estratti dal libro “Nel muro” di Mauro Corona
Ogni volta che son andato con donne, a fine coito mi facevano schifo. Non rimanevo oltre nemmeno un minuto o le avrei prese a sberle. Questo mi succedeva. E ancora mi succede, non posso farci niente.
A voler dire tutta la verita, ce n'e stata una con cui le cose sembravano diverse. Ma non e questo il momento di parlarne. L'unica soluzione e stare lontano dalle donne, sono la rovina dell'umanita. E riproducono umanita per seguitare a rovinarla. Nient'altro che questo. A me le femmine mi piacciono, mi sono sempre piaciute, ma ho difficolta a digerirle.
Una volta, prima di scoprire la verita, credevo di sapere perche mi succedeva questo. Da piccolo, aveve si e no dieci, undici anni, forse meno, ho visto mia mamma fare quelle robe con diversi uomini. Mio padre lavorava in bosco e lei se la spassava con quelli del paese. Prima uno e dopo l'altro, a seconda dei casi.
Se li portava nella camera alta, di fronte la stalla, e io dal fienile vedevo. La prima volta fu per caso, come succede a molte scoperte. Poi mi appostavo di proposito. Ero andato sul fienile a spiare i piccoli del codirosso. In seguito spiavo mia mamma.
La vedevo a gambe larghe sul letto, stesa sulla coperta scura che si portava appresso. E l'uomo di turno sopra di lei che dava colpi e grugniva e lei miagolava come una gatta. Ma pareva che piangesse. E dopo un po' abbaiava anche lui qualcosa mentre accelerava i colpi. Poi finiva e si tirava via.
Allora vedevo mia mamma ancora con le gambe larghe e le tette una per parte e quella macchia nera di pelo fin sulla pancia. L'avrei uccisa volentieri. Mi ricordo che alcuni uomini finivano presto ma altri la tiravano lunga. E lei sotto sempre a miagolare. Io poi quegli uomini li incontravo per le vie del paese e li riconoscevo, ma ho sempre fatto finta di niente e tirato dritto. Non ce l'avevo con loro. Stranamente non li odiavo per il fatto che montavano mia mamma. Odiavo lei che si faceva montare.
Probabilmente fu da allora che iniziai a odiare le donne. Ma, devo dire, dopo che ho conosciuto la storia che ancora non mi decido a raccontare, posso affermare con certezza che la faccenda e un'eredita antica, un lascito maledetto. A ogni modo, tornando a mia mamma, mi accorgevo quando andava coi suoi amanti.
Prendeva la coperta. Doveva farlo di giorno, alla sera rientrava mio padre. Quando arrotolava la coperta, facendo finta di niente, uscivo e mi arrampicavo sul fienile. E li, attraverso un buco nel fieno che copriva la finestra, vedevo tutto. Piu tardi ho anche capito perche usa- va la coperta.
(….)
Se avessi rivelato solo la meta di cio che combinavano, sarebbero finiti in galera. Ora che sono morti, voglio dire che razza di gente mi circondava, pochi ma buoni mi vien da dire. Non che io fossi migliore, quello no, ma certe cose sulle donne non le ho mai fatte. Pensate si, messe in pratica no.
Un giorno uno dei due trovo una fidanzata. La faccenda non duro molto. D'estate andavano a spasso per pascoli e bai- te e lui la torturava con le ortiche. All'inizio lei pensava che scherzasse. Allora scappava qua e la con la gaiezza dell'amo- re. Il mio amico la rincorreva brandendo un mazzo di ortiche che le passava sulle gambe, sulle braccia e pure sul viso. La donna capi e si preoccupo.
Lui mi raccontava queste cose e rideva. Quando era ben gonfia e infiammata, la obbligava a fare l'amore. Diceva che dopo quella cura diventava brutta. Solo cosi riusciva nel suo sfogo di maschio. Se era normale si bloccava, percio doveva deturparla. Diceva inoltre che in quelle condizioni era piu calda.
E da qui si dilungava in una contorta e allucinante spiegazione sul potere delle ortiche di scaldare il sangue e farlo confluire nel punto giusto del sesso. Mi disse che meglio ancora sarebbero state punture di api ma troppe avrebbero rischiato di ucciderla. Secondo me era fuori di testa e, devo confessare, a volte mi faceva paura.
Quando lei lo mollo la minaccio di morte. Fu costretta a passare ancora un'estate con lui. E con le ortiche. La mamma ogni tanto notava le gambe e le braccia arrossate di sua figlia, il viso gonfio e deturpato.
Ne chiedeva conto. La ragazza raccontava che era lei stessa a sfregarsi le ortiche per attivare una circolazione pigra e assonnata. Quando non c'erano ortiche, il fidanzato la sporcava di fuliggine per abbruttirla. In ultimo le infilava una maschera di legno con la bocca senza denti e i capelli di stoppa. Alla fine, stanca di maltrattamenti e paure, dopo un anno e mezzo fuggi. Dicono in Svizzera, ma di preciso nessuno lo sa. L'unica certezza e che da quel giorno non si fece piu viva.
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