DAGOREPORT - CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL…
Geoffrey Macnab per “The Independent”
“Bone Tomahawk” è un irreligioso incrocio fra un horror ed un western. In molti momenti è strabiliante, con tanto sangue e macabro lirismo. Scene cruente, tipo un taglio della gola che, grazie al suono amplificato, vuole assicurarsi che lo spettatore non perda nulla, mentre la lama affonda nelle vene.
Kurt Russell porta ancora i baffi del “The Hateful Eight” di Quentin Tarantino, ma qui interpreta Hunt, lo sceriffo di Bright Hope, una città di 268 anime. Richard Jenkins è Chicory, il suo burbero vice, mentre Matthew Fox è il pistolero più letale. Tutti rispettano la legge, o almeno lo fanno fino all’arrivo dello straniero che ha sconfinato sul terreno sacro di una tribù cannibale.
Si va alla ricerca di questi trogloditi che hanno rapito gente della città, in un viaggio epico a cavallo e a piedi attraverso il deserto. Non sappiamo quanto tempo passi. Il film comincia come un convenzionale western ma poi vira nel territorio del “torture porn” in stile Eli Roth, sul finale, quando i cowboy affrontano i cannibali.
C’è un senso dell’umorismo asciutto e a tratti assurdo, e anche le scene di azione sono molto efficaci, con lotte brutali riprese da vicino. Gli ultimi eventi risultano forse troppo cruenti e innaturali. Nei suoi spasmi finali, un film che era risultato intrigante e sottile, sceglie di usare le tattiche choc di un B movie. “Il Guardian” scrive che è destinato a diventare di culto.
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