DAGOREPORT: COME SI CAMBIA IN 5 ANNI - PER CAPIRE COME SIA ANDATA DAVVERO, OCCORRE ANALIZZARE I…
“NON MUOIO MAI” – GIANCARLO DOTTO RICORDA COSA GLI DISSE ORNELLA VANONI NELL’ULTIMA TELEFONATA: "NON LE FREGAVA PIÙ NIENTE DI NIENTE. FACEVA LA PIPI' ACCUCCIANDOSI SOTTO GLI ALBERI E DIETRO I CESPUGLI. FACEVA TUTTE LE DOMANDE CHE LE VENIVANO IN MENTE. 'SEI GIOVANE. SCOPI ANCORA?'. LEI CHE A 62 ANNI HA AVUTO UNA DELUSIONE AMOROSA ENORME, E DA ALLORA NON HO PIÙ AVUTO UNA STORIA VERA, LEI CHE SALVA UN PORCOSPINO O SI FA UNA CANNA NELLA SUA CASA DI MILANO: “LO SPINELLO ME LO FACCIO OGNI SERA, ME LO HA CONSIGLIATO IL MEDICO, DEVO SPEGNERMI IL CERVELLO” - "L’ULTIMA ORNELLA NON ERA PIÙ UNA DONNA, ERA UNO STATO DI GRAZIA: 'HO SUPERATO LA BRAVURA. QUESTO MONDO MI STA PICCOLO, NON SI PUÒ CAMPARE OLTRE I 90, 95 ANNI. NON È DECENTE …"
Giancarlo Dotto per Dagospia
ornella vanoni con l'assistente Veronica De Andreis
Era tornata bambina negli ultimi anni. Spianate le rughe e sfinite le malinconie. Arrese le guerre.. “…Non muoio mai”, mi disse due settimane fa al telefono con il vezzoso rammarico delle bambine che la mamma non arriva mai per portarle al cinema promesso”.
Dicono sia morta. Un malore. La cosa ha fatto un certo rumore, il giro del mondo. Ho provato a chiamarla, ieri. Con lei non si sa mai. Non ha risposto. Avesse risposto, le avrei chiesto: “Non eri dunque quella donna bionica che tutti dicevano?”. Scherzavano lei e Gino Paoli, compari di una vita, su chi se ne sarebbe andato prima. Una specie di giocosa competizione. Che Gino non si compiace di aver vinto.
Non era mai stata così felice, Ornella, e in pace con se stessa come in questi ultimi anni. Aveva imparato “a mollare gli sci”. Aveva trovato la formula della leggerezza insana e la praticava a più non posso. Lei, che le donne della sua età giocano a burraco nei salotti, fanno da balia ai nipotini e condividono la vita che resta con uomini cupi e stremati. Non le fregava più niente di niente.
Faceva la pipi accucciandosi sotto gli alberi e dietro i cespugli. Dove capitava. Come le bambine. Parlava con gli uomini, le gatte e i porcospini. Faceva tutte le domande che le venivano in mente. “Ma se ingoi un osso di coniglio, come fa poi a uscire da un buchino così piccolo?”. “Cosa mangerai stasera?”. “Sei giovane. Scopi ancora?”. Sapeva di avere vissuto quanto basta per sentirsi in diritto di domandare e rispondersi qualunque cosa.
Tutti pazzi per quella pazza di Ornella. È così che, da una decina di anni, ottantenne, improvvisa, le arriva la popolarità. Una donna della buona borghesia milanese, sempre stata un’artista di nicchia, brava sì, ma distante, altera, forse anche un po’ antipatica. Senza forse. Cresciuta e plagiata dagli uomini, da tiranni inesorabili come Giorgio Strehler. Lei che cantava la mala, adorava Chet Baker, condiviso musica con Gerry Mulligan, Herbie Hancock, Gil Evans, Chico Buarque de Holanda, Toquinho, Vinicius De Moraes, diventava la Ornella di tutti.
ORNELLA VANONI LETIZIA MORATTI
Il paradosso è che l’Ornella di oggi, di ieri, quella che la gente comune ha imparato ad amare, non era mai stata così distante dalla gente comune. L’Ornella fuori di testa non si è avvicinata alla gente, si è smarcata del tutto.
Si fa amare non per la sua prossimità, ma per la sua irraggiungibilità. Visibile e riconoscibile ovunque, di fatto invisibile e irriconoscibile.
La segnalavano ovunque e da nessuna parte. L’hanno appena vista transitare in una pineta di Pula in Sardegna, che faceva la pipì di notte sotto una quercia, forse un po’ ubriaca e, lo stesso giorno, a Milano in un taxi, scagliata chissà dove, in diretta su Raiuno, in uno studio di registrazione o alla prima del suo film. “Ho superato la bravura.
ORNELLA VANONI CON BETTINO E ANNA CRAXI
Questo mondo mi sta piccolo…”. Mi aveva detto. L’ultima Ornella era una casa in fiamme, che bruciava allegra. In desabillè e piedi scalzi. Come Joker, per celebrare l’improvvisa e un po’ malvagia popolarità, si era dotata della faccia giusta, inventata pezzo a pezzo, disegnata dalla matita di uno come Darwin Cooke, esperto in donne gatto.
Lei che arriva a Fiumicino. Bianca dalla testa ai piedi. Una fan le precipita addosso. “Ornella, sei sempre uguale!” “Magari. Mi è crollata una guancia ieri”. Lei che bussa alla mia porta: “Dobbiamo lavorare al libro… ho la pressione bassa”, si accovaccia sul mio letto e un secondo dopo si addormenta. Indifesa. Lei che fa distinzioni sottili. “Ci vuole coraggio per vivere e io sono molto coraggiosa, ma non sono forte”. Lei che sparisce all’alba.
Lei che salva il porcospino che stava annegando in piscina e gli fa la respirazione bocca a bocca, incurante dei suoi aculei. E gli dà un nome, Salvino. Lei che si confida. “A 62 anni ho avuto una delusione amorosa enorme, da allora non ho più avuto una storia vera”.
Lei che si fa una canna nella sua casa di Milano con mani esperte, dopo aver divorato una coscia di pollo congelata che ammazzerebbe un vichingo. “Lo spinello? Me lo faccio ogni sera, me lo ha consigliato il medico, devo spegnermi il cervello”. Lo dice e lo fa mentre a Sean Penn in tivù gli fanno la iniezione letale e muore, ignorato tra smorfie atroci e orrende convulsioni.
Lei, donna instabile come poche, che cadeva in continuazione. Due volte mi è crollata sotto gli occhi. La prima inciampando su un gradino di casa, la seconda in bicicletta nella pineta di Ansedonia. E ogni volta terrorizzato: “Ecco, si è rotta minimo un femore…”. E ogni volta si rialzava imprecando e ripartiva.
Lei, tutta vestita di rosso, la notte di Capodanno che canta al karaoke Bugiardo e Incosciente di Mina, come se fosse Mina. Lei che la trovo che piangeva in silenzio, ascoltando in anteprima il suo disco Live. Commossa dalla propria bravura. Lei che ha travolto e affondato se stessa prima di tutto. La prima volta? Quando, a 74 anni, si cala con la tuta da sub nei fondali delle Maldive. Lei che ci ha insegnato come trasformare la cupa e incomprensibile crudeltà della vita nel circo allegro della dispersione.
ornella vanoni a che tempo che fa 3
Regredire, la condizione indispensabile. Se sei infantile da bambina è un alibi che regge, ma se lo sei a novant’anni, allora sei pazza. “Sono pazza? E allora che pazzia sia, ma fino in fondo…”.
Si è detta, senza bisogno di dirselo. Decide che gli adulti sono dei rompipalle micidiali e si dà all’infanzia più sfrenata. La sua. Tenera e crudele. Aveva imparato talmente bene a fregarsene dello sguardo del mondo che a volte esagerava. E, quando capiva di aver esagerato, tornava più che mai bambina. A caccia di carezze. La sua caccia eterna.
L’ultima Ornella poteva sopravvivere a tutto, anche a se stessa finché ha potuto. Sopravvissuta al suo amatissimo Why, il barboncino color neve che teneva in braccio, sbranato in pieno centro a Milano da un rottweiler. Sbranata lei stessa mille volte e diventata finalmente invulnerabile, perchè non c’era più brano che la tenesse e non c’era più nemmeno il rottweiler, perchè nel frattempo era diventata lei il rottweiler di se stessa.
L’ultima Ornella non era più una donna, era uno stato di grazia. Non ha mai cantato così bene. Non ha mai parlato così lieve. La sua voce non era più solo fraseggio e miele elegante, era ferita che parlava ad altre ferite. Una fuoriclasse. Tutti la vogliono, tutti la cercano. Libri, film, interviste, programmi, spettacolo garantito, tutti ne registrano l’impatto sulla gente ma pochi sanno spiegare il perché. Ornella era là dove tutti vorremmo essere, senza ammazzarci di droghe e alcol. Ornella era, è, nella geniale stupidita dell’oltre.
“Questa volta hai superato il limite!...”. Quante volte ha superato il limite. Fuori della classe. Uscita di classe, dopo essere uscita di testa. Non è più in classe con noi, non risponde più all’appello. Vattelapesca, dove sia. Più che mai ora.
Gino Paoli la raccontava così. “Ancora oggi, quando la guardo, vedo solo la bambina spaventata, non la donna aggressiva, sensuale, autorevole che tutti vedono. Vedo il cagnolino che cerca protezione...”.
ornella vanoni a che tempo che fa 7
Oggi troverebbe un altro modo, forse, di raccontarla. Né drago minaccioso, né cagnolino bisognoso di protezione. Dopo essere stata pongo nelle mani di tutti, degli uomini soprattutto, Ornella era diventata pongo di se stessa. “Sono diventata il mio cavaliere”, mi ha detto un giorno.
“Ha ragione il mio amico Sgarbi, che io chiamo Strapazzi, che ama le statue e va in deliquio per Ilaria del Carretto esposta nella cattedrale di Lucca e ama una donna che sembra una statua. Le donne invece invecchiano e un giorno ti ritrovi senza scudo. Brutto e comico insieme. Mi sentivo un highlander. Ora so di avere una scadenza, come i replicanti di “Blade Runner”. Non so qual è questa mia scadenza, ma escludo di arrivare ai 109 anni di mia zia. Piuttosto, mi ammazzo prima. Lo dico e lo sottoscrivo. Non si può campare oltre i 90, 95 anni. Non è decente”.
L’ho ascoltata, amata, spiata, con tutti gli occhi che avevo, ogni volta stupefatto, in tutta la sua gamma infinita. Così pensavo. L’ho vista che rideva, che piangeva, bambina e strega, sensuale e ostile, tenera e stizzosa, vulnerabile e infrangibile, che parlava agli uomini e ai porcospini. E ora la guardo. Non mi stanco di guardarla. L’Ornella che nessuno prima era riuscito a fotografare.
La foto del mio amico Giuseppe di Piazza, nel libro che sarà pubblicato a gennaio. Chiodata in una posa che resterà nel tempo e la dice lunga sull’enigma di una donna così rara. Non mi stanco di guardarla. Così malinconica e altera, superba e consumata: era, è l’Ornella della musica è finita, degli amici che se ne vanno, che inutile serata, di un minuto lungo da morire. L’Ornella più nascosta e irraggiungibile dietro le tende del suo circo sfrenato.
Giuseppe di Piazza - ornella vanoni - giancarlo dotto
Non mi stanco di guardarla. E di ascoltarla. Io, rapitore più che mai rapito di voci celebri. La sua voce finirà insieme a quella di Carmelo Bene e di tanti altri, nel mio Revox a bobine, parte di un unico grande concerto, una gigantesca arca sonora pronta a viaggiare per la stratosfera.
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ornella vanoni
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