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Alba Solaro per “il Venerdì di Repubblica”
Talco, talco, talco. L'ingrediente fondamentale del Northern Soul è il borotalco. Andava via a chili per cospargere i parquet dei club, posti con nomi come Wigan Casino, Blackpool Mecca, Twisted Wheel, sparsi nella periferia industriale del Nord dell'Inghilterra.
Nello spazio grigio dei primi anni Settanta, ragazzi e ragazze (ma soprattutto ragazzi) della working class andavano a riprendersi la vita nel fine settimana ballando fino allo sfinimento al ritmo di oscuri 45 giri di soul importato dagli Stati Uniti.
Per muoversi in quello stile formidabile bisognava che le suole di cuoio scivolassero bene; l'industria del talco deve un monumento a quei giorni. Northern Soul di Antonio Bacciocchi (Agenzia X edizioni) sono 253 pagine che raccontano in tutte le sue sfaccettature una delle sottoculture giovanili inglesi meno note.
Punk e mod hanno avuto sicuramente più riflettori puntati, eppure il Northern Soul è stato altrettanto significativo anche da un punto di vista sociale, e non se n'è mai veramente andato. Anzi. Anche in Italia c'è una scena florida, figlia del mod revival esploso negli anni 80, che si incontra alle serate strapiene di Roma Soul City, come ai corsi di ballo che tiene a Milano Geno De Angelis.
Ricostruire la parabola degli "all nighters" non è semplice. Bacciocchi, musicista (fondatore e batterista dei Not Moving), giornalista e scrittore (tra i molti titoli, la biografia di Gil Scott-Heron, Rock' n'goal, Soul-La musica dell'anima), ricorda che il termine lo dobbiamo al dj Dave Godin, l'uomo che aveva fatto scoprire il rhythm and blues al suo compagno di scuola Mick Jagger.
Proprietario di un negozio di dischi, Soul City, Godin aveva notato che, negli anni in cui a Londra i giovani mod cercavano avidamente i successi della Motown, «i tifosi delle squadre di calcio provenienti dal Nord si disinteressavano delle nuove uscite» e cercavano invece le rarità soul, i 45 giri più oscuri, con l'ossessività e il purismo tipico del collezionista.
Il resto lo facevano le serate di ballo, il cuore vero di una sottocultura dove l'abilità nella danza, spiega nel libro lo scrittore Barry Doyle, «offriva ai giovani partecipanti
un modo alternativo di usare il corpo per affermare la propria mascolinità».
Oggi resta un'estetica che non ha mai smesso di affascinare, annovera fan come Paul Weller, Marc Almond, Nick Hornby, ma anche il rapper Pharrell che per il lancio di Happy ai Brit Awards si era portato sul palco una troupe di ballerine Northern Soul. «La prima scena inglese», spiega Bacciocchi, «era uno dei rari esempi di appartenenza quasi totale alla working class.
Poi è diventata trasversale e senza distinzioni classiste. Rimane un'alternativa colta, divertente e genuina allo sfondarsi di alcol o droghe in qualche discoteca o annoiarsi girando per città che culturalmente propongono sempre di meno».
Frank WilsonNorthern SoulNorthern SoulNorthern SoulBRENDA HOLLOWAYBRENDA HOLLOWAY
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