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La personalità poliedrica, innovatrice, maestosamente teatrale – che ha eletto Bowie a icona della cultura contemporanea – si è riversata anche nella progettazione della sua abitazione, e del suo giardino, sull’isola caraibica di Mustique. Una casa costruita come fosse “un’isola della fantasia”, come definita dal cantante in un’intervista al Telegraph, e progettata “in piccole, raccolte, aree diverse, tanto da potercisi perdere dentro”.
La tenuta Mandalay, infatti, presenta i tratti caratteristici dello stile indonesiano, voluti dal cantante, che prendono forma in piscine naturali terrazzate dalle rocce, portici dalle colonne intricate, interni riccamente decorati. Varie piscine “naturali”, poi, intervallano le pagode – un mix tra lo stile giapponese e quello scandinavo – in cui la designer Linda Garland introdusse richiami all’Indonesia, come il padiglione-soggiorno tipico delle costruzioni giavanesi.
“Volevo qualcosa di meno caraibico possibile – spiegava Bowie negli anni ’80 riferendosi allo stile indonesiano adottato – e la Mandalay è la realizzazione di un capriccio. Adoro un buon cliché e questa casa, per me, è semplicemente il più delizioso dei cliché; l’unica cosa da poter costruire a Mustique è proprio un’isola della fantasia”.
E, a spiegare la progettazione del giardino in sé, in quanto a disposizione e disegno è Made Wijaya, il garden designer che ha creato la tenuta Mandalay, in un’intervista rilasciata al magazine Phaidon. Come spiegato dal professionista, Mustique ha un clima arido, in realtà affatto tropicale, ed è un contesto in cui è difficile assoldare della manodopera per portare avanti un lavoro.
“Un giorno, per fortuna – ha raccontato Wijaya – avevo notato che cominciavano ad arrivare in loco delle sculture provenienti dall’Indonesia dell’Est; allora – visto che avevo un buon budget – le ho comprate e portate con me alla tenuta. Il giardino in cui le ho innestate era composto da piante resistenti al sale e all’aridità in sé, che circondavano le piscine”.
Intorno alle vasche d’acqua contornate da rocce, infatti, gigli rossi, palme, ninfee, e ancora oleandri, ficus nodosi. Un ambiente armonico nelle sue polarità che permetteva a Bowie – stando alle sue parole – “di non avere l’esigenza di scrivere un bel niente”. Un luogo verde, commistione di stili e generi, un incanto sospeso che il cantante trovava “duchampiano, una fonte sempiterna di delizie”.
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