DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Michele Masneri per "Il Foglio"
"E' arrivato l'Ambasciatore con la piuma sul cappello; è arrivato l'Ambasciatore, a cavallo d'un cammello. Porta una letterina, dove scritto stà così:'Se mi baci Mimì, ti darò tutto il cuor': è arrivato l'Ambasciator!". Così cantava il Trio Lescano nel 1938, quando le sorelle Mitford erano già operative in Gran Bretagna scrivendo bestseller, sposando duchi o nipoti di primi ministri, o addirittura diventando amicissime di Adolf Hitler o invece socialiste, dopo infanzie disfunzionali in castelli smandrappati, un po' Tenenbaum un po' Kardashian pre-Tabloid.
Della primogenita, Nancy, è da poco in libreria "Non dirlo ad Alfred" (Adelphi), seguito di "L'amore in un clima freddo", racconto di formazione di una ragazza scritto con humour lunare alla Wodehouse, dettagli in vera pelle alla Evelyn Waugh, e perfezione di dialoghi "dry" alla Ivy Compton-Burnett.
Qui, la protagonista lady Fanny Wincham viene inviata a Parigi al seguito del marito nominato inopinatamente ambasciatore, e si trova a regnare impreparata sull'Hôtel de Charost, il palazzo che da duecento anni ospita sul Faubourg l'ambasciata inglese in Francia, già residenza di Paolina Borghese ma soprattutto - nella finzione - di un'altra Pauline, l'ex ambasciatrice uscente che di uscire non ha alcuna intenzione.
Dopo pochi giorni, lady Wincham si accorge infatti di strani fenomeni: il telefono fa delle strane interferenze, quando si alza la cornetta ci sono voci sotto, a volte chiamano e poi riattaccano; il Times arriva con due giorni di ritardo, e con le parole crociate già completate: e poi, di notte, delle voci dai piani di sotto, delle feste nel proprio giardino.
Si scopre insomma che lady Pauline Leone, nonostante una grande uscita di scena ufficiale non se n'è mai veramente andata dall'ambasciata, "okkupando" lo stabile come un teatro Valle, con dei party clandestini che diventano subito molto di moda in città, con degli incidenti incresciosi, tipo nunzi apostolici che sbagliano scala e finiscono dalla vera ambasciatrice, si scusano e vanno dalla ex, considerata assai più divertente.
nancy mitford non dirlo ad alfred
Lady Leone aveva fatto infatti una finta partenza in pompa magna dalla Gare du Nord, con ministri e duchesse, ma poi "fa fermare il treno a Orry-la-Ville e torna subito indietro", fa dire che è molto malata, forse in punto di morte, e si piazza in un mezzanino che diventa immediatamente il fulcro del tout-Paris. Non si sa come cacciarla, e nella ambasciatrice in carica crescono anche i complessi: tanto la ex è famosa per l'eleganza dei ricevimenti, tanto lei si sente goffa; non sa scegliere gli abiti, è abituata alla vita universitaria di Oxford, poiché il marito è un ex professore, a Oxford tutti sono giustamente sobri e sciatti tranne i "professori Dior" che sono quelli con le mogli ben vestite.
Al primo ricevimento parigino mette dunque un vestito che le sta talmente male da suscitare costernazione nel marito solitamente poco attento; e nei vasi infila dei semplici garofani (cosa che fa inorridire tutti, soprattutto perché la sua predecessora è nota per certe composizioni che contemplano "non solo fiori ma metri di velluto rosso, lepri morte, zucche, alghe marine, erbe comuni").
Finchè viene convocato da Londra il vecchio zio araldico Davey, re di protocolli e eccentricità, che trova il sistema: un cameriere molto noto nei salotti viene messo a prendere i nomi degli ospiti dell'ambasciatrice abusiva, con la minaccia che questi non saranno invitati a una fantomatica visita imminente di una qualche altezza almeno reale.
Il salotto clandestino immediatamente implode, e lei allora fa un'uscita grandiosa, stavolta reale, fregandosi però un grammofono ("dalle scale scendeva, così adagio da sembrare quasi immobile, la donna più bella del mondo. Era drappeggiata in un abito di satin bianco, luccicava di gioielli, e i grandi occhi chiari fissavano un punto lontano sopra le teste della folla").
Nel frattempo, una nipote scapestrata scelta come dama di compagnia dell'ambasciatrice ne combina di ogni, facendo la corte a ministri e presidenti del consiglio, liberando in mare delle fondamentali aragoste pronte per una cena, mentre l'ambasciatore è alle prese con una surreale crisi diplomatica delle isole Minquiers, "tre scogli normalmente ricoperti d'acqua" su cui il generale De Gaulle issa la bandiera francese, e che i britannici rivendicano, come in un prequel delle Falkland-Malvinas, e come nel migliore Evelyn Waugh.
nancy mitford non dirlo ad alfred
Naturalmente al netto della surrealtà Nancy Mitford racconta ciò che conosce, avendo vissuto da vicino negli anni Quaranta il mandato dell'ambasciatore inglese Duff Cooper e soprattutto della moglie, la celebre lady Diana Cooper, ex star del cinema muto poi ambasciatrice, con una corte che comprendeva, secondo indignate cronache d'epoca, "pederasti e collaborazionisti".
Nel romanzo, lady Leone/Cooper morrebbe piuttosto di lasciare l'ambasciata: e lo zio Davey spiega che abbandonare queste residenze è particolarmente difficile per le signore: "lady Pickle ha tenuto le chiavi di quella di Roma, e ha fatto una festa anche alcune settimane dopo l'arrivo dei nuovi ambasciatori". E in particolare "le ambasciatrici inglesi di solito sono un po' picchiatelle, e dover lasciare l'ambasciata le fa uscire completamente di senno".
Però deve fare questo effetto soprattutto il palazzo settecentesco acquistato da Paolina Borghese nel 1803, e che "il duca di Wellington comprò dai francesi nel 1814", come dice al Foglio Franco Clementi, ottantadue anni, che per due anni, dal 1958 al 1960, fu il maggiordomo proprio all'Hôtel de Charost. Nato a Macerata, era andato in Inghilterra per studiare l'inglese, e dopo aver fatto il giardiniere e il ragazzo au pair era stato assunto come "chauffeur de chauffage", cioè "fuochista delle caldaie presso l'ambasciata belga a Londra, a Belgrave Square, dietro Buckingham Palace".
Poi l'ambasciatore belga, il marchese Alain du Parc-Locmaria, lo promuove vice maggiordomo. Clementi torna in Italia perché vuole continuare a studiare, si laurea in economia, vorrebbe fare il concorso per la carriera diplomatica, ma il francese è debole; scrive allora una lettera all'ambasciata inglese a Parigi, rispondono immediatamente, informano che "ci sono due posti liberi: l'argentiere, cioè il pulitore di argenti, e il vice maggiordomo".
lady diana cooper con il figlio
"L'ambasciatore e l'ambasciatrice, lord e lady Jebb, aspettavano che tornasse dalle vacanze il loro maggiordomo ungherese bravissimo, che però non tornò mai, così mi promossero sul campo", racconta Clementi. E lì, dunque, viene ricevuto da madame Rénée, la Head Housemaid, la capa governante, figura importantissima per chi abbia visto un po' di film inglesi del genere su o giù dalle scale.
Tra ritratti e resti di lady Diana Cooper, "un suo ritratto, bellissimo, nel salone giallo", e poi "tutti i libri donati dall'ambasciatore, che oggi sono raccolti nella Duff Cooper Library", saggi su come funziona la servitù tipo Julian Fellowes: "vivevamo tutti dentro l'ambasciata, tranne i due autisti personali di lord e lady Jebb. Noi, uomini, dormiamo sopra le cucine. Le femmes de chambre invece nelle mansarde. Si mangia tutti insieme. Io, in quanto maggiordomo, servo il primo piatto a tutti i domestici".
la regina all hotel de charost
A comandare le donne la governante suprema; per gli uomini, come un ambasciatore downstairs, è il "controller". "Il controller era sempre un colonnello. Quando sono arrivato io, era il colonnello Robertson. Poi il colonnello Graham: erano sempre militari che poi venivano messi a sovrintendere all'ambasciata" (nel libro della Mitford è il maggiore Jarvis).
Altri ricordi alla Jeeves (ma Jeeves era un valletto, non un maggiordomo, fondamentale distinzione): ogni mattina, nella Chambre Pauline, la grande camera appartenuta a Paolina, in cui l'ambasciatrice disperata della Mitford riceve le telefonate mute, l'ambasciatrice vera di Clementi, lady Jebb, "riceve me e lo chef e ci detta il menu per la cena", "menu che poi scrivo io a mano grazie alla mia buona calligrafia, o, in cene particolarmente affollate, viene scritto a macchina".
Per i vini invece "telefono a sir Jebb, l'ambasciatore, che decide e mi dà ordini" (per i vini decide il padrone di casa, esattamente come in Downton Abbey).
A cena, al piano terra, nelle sale di rappresentanza dove la Mitford ambienta le sue cene con tutti gli addobbi sbagliati, e la nipote smandrappata, ospiti invece illustri: Edoardo VIII, "che veniva a festeggiare ogni anno il capodanno in ambasciata. Un giorno riportandogli il cappotto noto che all'interno è foderato di una magnifica pelliccia, lui molto cordialmente mi dice che era una pelliccia appartenuta a suo padre, Giorgio V, fatta poi applicare all'interno".
Poi la regina madre, di ritorno da una visita di Stato a Roma al posto della figlia Elisabetta, e con la malmostosa Margaret al seguito. "Da Buckingham Palace arrivano istruzioni precise: siccome Margaret a Roma è uscita troppo spesso, a Parigi non deve succedere, e praticamente la chiudono in camera. Ma lei non protesta, è abituata".
Poi, al regale commiato, "il protocollo vuole che alla partenza degli ospiti la dirigenza del personale sia sulla porta e venga presentata, dunque siamo io, lo chef e la head housemaid, e la regina madre mi chiede di dove sono, dico italiano, lei chiede di dove, io per semplificare dico di Ancona, lei dice "Ancona very nice, ci siamo stati con il royal yacht, il Britannia".
Clementi, vagamente feticista, stacca un biglietto dal reale bagaglio, con etichetta "Buckingham Palace", che ha tutt'ora. Ma poi avrà altri reperti: soprattutto un mozzicone di sigaro di Winston Churchill, che ha una storia. "Churchill viene per essere insignito della Croce di Lorena il 5 novembre del '58. Grande cena in suo onore, insieme alla moglie lady Clementine (c'è il menu, scritto a macchina): consommé allo Sherry, tartare di Filetto, formaggi, torta Mimosa, Dom Pérignon del 1948".
"Poi il primo ministro chiede un sigaro, io arrivo con un candeliere ad accenderglielo, ma quando l'ha finito decido che quel mozzicone forse andrà conservato. Così l'ho tenuto per cinquant'anni e due anni fa l'ho riportato a Londra regalandolo all'ambasciatore in carica, che l'ha messo al posto d'onore nel Salone Giallo. Mi è arrivata anche una foto di un erede Churchill con ringraziamento".
Altri cimeli non hanno avuto la stessa fortuna: "i due libri con tutti i menu studiati da lady Jebb, con la rilegatura del Foreign Office, li ho spediti all'attuale maggiordomo ma non mi hanno neanche ringraziato". Nel 1960, Clementi ritorna in Italia e ormai ha superato i trent'anni, dunque non può più provare il concorso per la carriera diplomatica per limiti di età. Farà un'onorata carriera da manager alla Bontempi, strumenti musicali, quelli della pianola. Aprendo le sedi di Londra, e poi quella di Parigi, naturalmente. Come un grande maggiordomo, o ambasciatore.
lady diana cooperhotel de charost hotel de charost hotel de charost
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
FLASH! – MARIA ROSARIA BOCCIA CONTRO TUTTI: L’EX AMANTE DI GENNY-DELON QUERELA SANGIULIANO (GIÀ…
DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…
DAGOREPORT: BANCHE DELLE MIE BRAME! - UNICREDIT HA MESSO “IN PAUSA” L’ASSALTO A BANCO BPM IN ATTESA…