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Stefano Sansonetti per La Notizia (www.lanotiziagiornale)
Chi l'avrebbe mai detto. La Galleria degli Uffizi di Firenze vale 1 miliardo e 958 milioni di euro. Briciole, e qui viene il bello, rispetto al valore dell'Archivio di Stato del capoluogo fiorentino, stimato in 20 miliardi e 24 milioni di euro. Sono anni che ci si interroga sull'entità economica del patrimonio artistico e culturale italiano. Domanda diventata tanto più attuale da quando la Corte dei conti ha aperto un'inchiesta contro le agenzie di rating, accusate di aver declassato l'Italia senza considerare il valore dei suoi "gioielli".
Ebbene, la realtà è che una risposta a questa domanda esiste. I beni immobili e mobili italiani di valore culturale oggi valgono 179 miliardi di euro. All'interno di questa cifra, 158,7 miliardi corrispondono al valore degli "oggetti d'arte". A cui si aggiungono 20,3 miliardi relativi agli immobili. A certificare questi numeri è la Ragioneria generale dello Stato, che ha appena finito di predisporre l'ultimo aggiornamento del "Patrimonio dello Stato 2012", ultimo anno disponibile. Parliamo di un documento di 165 pagine dal quale spuntano fuori sorprese di ogni tipo.
Maxirivalutazione
La prima cosa che salta all'occhio è l'impennata che il valore complessivo ha subìto negli ultimi 5 anni. Si consideri solo che nel 2008 la categoria dei beni immobili e mobili di valore culturale era riportata in bilancio al valore di soli 35,3 miliardi. I 179 miliardi del 2012, quindi, rappresentano una rivalutazione del 407%. Rivalutazione che diventa maxi se si analizza il trend del valore degli "oggetti d'arte". In questa categoria rientrano beni storici, artistici, demo-etno-antropologici, archeologici, paleontologici, librari e archivistici.
Ora, se questi nel 2008 valevano 19,4 miliardi, nel 2012 sono stati iscritti in bilancio a 158,7 miliardi. Un incremento del 718%. Ma non è finita qui. La maggior rivalutazione, nella categoria degli oggetti d'arte, ha riguardato proprio i beni archivistici. Basti pensare che nel patrimonio dello Stato del 2008 erano stimati in appena 71 milioni e 800 mila euro, mentre in quello del 2012 sono arrivati a valere 132,8 miliardi. Per gli amanti dei calcoli si tratta di un'impennata del 184mila per cento. Roba da far strabuzzare gli occhi. Naturalmente tutto questo stato di cose, certificato dalla Ragioneria, introduce una serie di domande.
Le questioni
Innanzitutto non ci si può non domandare come sia possibile che il patrimonio culturale dello Stato italiano fosse calcolato in 35,3 miliardi nel 2008, diventati 179 miliardi 5 anni dopo. Si potrebbe far notare che si tratta proprio degli anni dello scoppio e dell'evoluzione della crisi finanziaria. Anni in cui, quindi, il ministero dell'economia, che controlla la Ragioneria, ha dovuto rivalutare le attività dello Stato proprio per dimostrare la "solidità " del bilancio pubblico agli investitori internazionali. Una questione contabile, ma determinante, visto che la Corte dei conti oggi accusa le Agenzie di rating di non aver tenuto nel debito conto questi numeri. Altra questione è capire come mai, fino al 2008, nessuno abbia avuto interesse ad aggiornare il valore del patrimonio dello Stato.
Gli archivi
Di sicuro sorprende la questione relativa agli archivi di Stato. Di fatto è la loro maxirivalutazione (+184mila per cento) ad aver inciso sull'impennata degli altri beni. Dalle schede allegate dalla Ragioneria al documento, per esempio, si apprende che l'archivio di Stato che vale di più è quello di Firenze, con i suoi 20 miliardi, 10 volte dei più dei quasi 2 miliardi di valore riconnessi alla Galleria degli Uffizi.
Ma cosa c'è dentro l'archivio del capoluogo toscano? Dal sito internet si apprende che l'ufficio custodisce 75 chilometri di materiale documentario dall'VIII secolo ai giorni nostri, con carteggi, diplomi, codici miniati, disegni e carte geografiche. Il secondo archivio di Stato, in termini di valore, è quello centrale, con poco più di 9 miliardi. Seguono l'archivio di Stato di Palermo con 8,5 miliardi e quello di Latina con 6,2. A quanto pare, però, le Agenzie di rating non ne hanno tenuto conto.
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DANIELE FRANCO
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