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Philip Eil per Salon
sticky documentario autoerotismo
Il nuovo documentario di Nicholas Tana inizia con due domande: “Ti masturbi” e “Perché è così difficile parlare di ciò che fanno tutti?”. Per capirlo bisogna ricordare che anche gli animali lo fanno e andare a parlare con i venditori di sex toy in Alabama che ogni giorno rischiano penalmente perché lo stato li vieta dal 1998. Bisogna ascoltare le idee delle pornostar e di un’industria che entro il 2020 toccherà i 52 miliardi di dollari l’anno.
documentario sticky sulla masturbazione
“Sticky: A (Self) Love Story” dura 70 minuti. Perché la masturbazione, nel 2016, è ancora tabù? Perché ha a che fare con l’ego, con ciò che è personale e vulnerabile. Inoltre ha ancora quel retaggio legato alla sopravvivenza: fare autoerotismo in tempi antichi significava sprecare il seme e la possibilità di accrescere il proprio nucleo tribale. Nel documentario c’è una porzione di umorismo, perché lo spettatore se lo aspetta, ma la questione è seria: come faremo a controllare l’autoerotismo? Fino a pochi anni fa, ci si eccitava guardando un seno nudo sul National Geographic, oggi esiste il porno on line e la realtà virtuale che simula rapporti. Come verrà gestito questo futuro?
Abbiamo capito che la sessualità non è solo finalizzata alla procreazione, stiamo capendo che siamo essere sessuali e imparando a non vergognarcene. La masturbazione dovrebbe essere insegnata ai ragazzini come forma di sesso sicuro, dato che le malattie sessualmente trasmissibili e le gravidanze precoci sono in aumento. Eppure la dottoressa che lo propose, Joycelyn Elders, fu costretta a licenziarsi da Bill Clinton, sedicente liberale.
“Sticky: A (Self) Love Story” esce in versione originale, ma prima in quella censurata, poi si vedrà. C’è tanto sesso in tv, al Sundance Festival si parla di un film con protagonista un cadavere che scoreggia ed ha un’erezione (“Swiss Army Man”), ma nessuno se ne preoccupa. Ci si preoccupa invece di un documentario serio, dove si indaga sull’autoerotismo in tutte le religioni del mondo. Può, una cosa così diffusa e fondamentale, essere considerata un peccato o è il caso di rivedere i nostri standard morali?
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