DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Masolino D’Amico per “la Stampa”
Gigi Proietti chiude la terna dei più grandi attori romani tra il 1920 e il 2020: tutti e tre così grandi da uscire dagli schemi consueti per recitare soprattutto se stessi, ovvero i personaggi che si erano inventati. Agirono in contesti diversi, Ettore Petrolini, Alberto Sordi e Gigi, ma ebbero in comune parecchi tratti, a partire dall’ironia tipicamente capitolina, un po’ cinica e a volte addirittura feroce.
Per esempio, nessuno dei tre fu figlio d’arte, ma sbocciò irresistibilmente, provvisto di enormi doti istrioniche e della tenacia necessaria per migliorarle continuamente. Nessuno dei tre fu fisicamente notevole, né bello né brutto né buffo (be’, Proietti era alto. Ma per lungo tempo, anche dopo i trionfi teatrali, non fu preso in considerazione dal cinema che per qualche caratterizzazione).
Tutti e tre, infine, sabotarono le tendenze ufficiali del loro tempo. Il surrealismo di Petrolini sbeffeggiava la retorica dannunziano-fascista. Gli eroi blandamente abbietti di Sordi mostravano i compromessi ai quali erano pronti gli italiani medi dell’età del benessere. Per Proietti il discorso è più sfumato. Cominciò in un teatro di nicchia, dove si fece rapidamente una reputazione tra iniziati. Io lo scoprii nel ‘65, quando Vittorio Gassman insistette perché Mario Monicelli andasse a vedere questo giovane fenomeno.
Ci recammo in cinque, Mario, mia madre, Age e Scarpelli, in una saletta precaria del quartiere Prati, dove davano la commedia di uno sconosciuto Corrado Augias, intitolata Direzione memorie. In platea c’erano solo cinque spettatori - noialtri, appunto. In quegli anni la formazione chiamata Gruppo Sperimentale 101 e diretta dal suo (e mio) coetaneo Antonio Calenda, che a un certo punto si stabilì all’Aquila, propose una nutrita e coraggiosa serie di lavori inconsueti di Picasso, Apollinaire, Rojas, Brecht, Frassineti, Moravia, Gombrowicz.
Suso cecchi d'amico Alberto sordi 720
Non dunque proprio i classici tradizionali con cui si era fatto le ossa il leader della generazione precedente, ovvero il surricordato Gassman; ma quanto bastava perché i competenti si accorgessero del nuovo prorompente talento. Gigi possedeva tutto, voce, orecchio (cantava mirabilmente, e come cantante di night aveva iniziato), presenza, energia, magnetismo, velocità, capacità di stabilire un contatto con lo spettatore; e tempi comici innati.
Lo adocchiarono Garinei e Giovannini, e lo fecero debuttare al Sistina in un musical, Alleluia brava gente, al posto di Domenico Modugno, che aveva litigato con l’autore e interprete Renato Rascel. Era il 1970, fu il successo sui grandi palcoscenici. Di lì Gigi non tornò più indietro. Seguì, altro spettacolone, La cena delle beffe con Carmelo Bene. Negli Anni Settanta Gigi Proietti diventò una star del teatro, addirittura troppo grande per i testi del repertorio, ma sufficiente a riempire la scena da solo.
Un primo one man show, A me gli occhi please (1976), messo insieme con Roberto Lerici, cominciò riempiendo le sale e continuò con centinaia di esauriti nei tendoni da circo che allora andavano di moda. Lì dominava la versatilità del performer in una capricciosa sequenza di pezzi brevi, con continui cambi di registro: esibizione di virtuosismo travolgente, anche per la vitalità, l’allegria dell’interprete.
Da allora in teatro Proietti fu sostanzialmente condannato a ripetere questo show, che cambiò aggiornandolo parecchie volte ma del quale il pubblico non fu mai sazio; l’ultima versione è del 2015. Sì, nel frattempo apparve anche in qualche pièce più convenzionale, e rivisitò il suo antecedente Petrolini. Ma benché avesse il merito (è la sua funzione controcorrente cui si accennava sopra) di tenere alta la fiaccola dello spettacolo dal vivo, ebbe qualche rimorso per aver essere uscito dal canone.
Ed espiò con caratteristica generosità, rimettendo in piedi e gestendo un’enorme sala pubblica defunta, il Brancaccio di Roma, fondando e animando scuole di recitazione, e gettandosi nella folle ma alla lunga largamente positiva avventura del teatro Globe, struttura elisabettiana a cielo aperto in piena Villa Borghese diventata ormai appuntamento fisso di giovani e luogo privilegiato per le opere del Bardo. Sempre per omaggiare Shakespeare, che amava e che sentiva di avere trascurato, ne diede una affascinante lettura tramite campioni in Edmund Kean (1989), lavoro dedicato al celebre mattatore inglese.
Al cinema frattanto era approdato in parti di contorno, anche di rilievo (L’eredità Ferramonti di Bolognini), ma sfondò solo con Febbre di cavallo di Steno (1976), destinato a diventare mitico. Gassman, che l’aveva avuto accanto in Brancaleone alle crociate, se lo portò dietro a Hollywood per Un matrimonio di Robert Altman (1978), e Matteo Garrone lo mise in Pinocchio ancora l’anno scorso. Comunque, in Italia la vera indiscussa fama e popolarità arriva solo con la televisione.
GIGI PROIETTI SUL SET DEL MARESCIALLO ROCCA
Questa finalmente - dopo vari assaggi - si accorse di Gigi Proietti a partire dalla serie del Maresciallo Rocca (1996-2006); un’altra, intitolata Una pallottola nel cuore, iniziata nel 2004, è ancora in corso. Ma non è ora il caso di fare l’inventario di una carriera vastissima, di cui fanno parte regie teatrali e liriche, doppiaggi, partecipazioni a tante imprese.
Questo è il momento del rimpianto. Chi volesse rendergli un tributo in carattere, però, recuperi l’episodio Elogio funebre diretto anonimamente da Ettore Scola, nel film I nuovi mostri (1977). Sono sicuro che a Gigi essere commemorato così non dispiacerebbe.
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