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Quirino Conti per Dagospia
E così la Moda, per sopravvivere, si scoprì infine cineasta. Dopo aver spianato le impervie vie dell’arte concettuale, quelle del rock, del pensiero filosofico e persino dell’antropologia socio-psicologica.
Comunque, il cinema era da sempre una delle sue più inconfessate debolezze. Un po’ per una questione generazionale, un po’ per frequentazioni, ma soprattutto per gelosia verso un successo (ottenuto con addosso le trovate dello stilista di turno) mal tollerato.
Certo, le superstar si vestivano e si svestivano secondo i suoi dettami: ma poi per loro c’erano le abbacinanti luci dei red carpet, mentre per il povero stilista la solita intervista melensa prevista dal contratto standard. Niente di più. Oltre a, durante la prova, forse, un certo feeling fin troppo intenso. Persino fraintendibile se l’attore era maschio, esordiente e pronto a tutto per due camiciole in più.
Dries Van Noten - Digital Fashion Show
Il primo a provare a mutar pelle fu naturalmente il pioniere di tutto, Giorgio Armani: sperimentando quel nuovo mezzo con un video da lui ideato e diretto in una lunga, gelida notte sotto i portici di piazza San Babila. Mai lo si era visto tanto “indiato”.
Tanto da strapparsi di dosso il caldo maxi cappotto di cashmere per coprire qualcuno che sul set andava raggelandosi. Ma pure per quel nuovo fuoco da ciak che lo stava bruciando.
Gucci store milano - digital show
Comunque, qualcosa del genere avevano già sperimentato da Fendi su spendacciona istigazione del solito Lagerfeld. In questo caso, l’incontenibile regista fu Jacques de Bascher, costoso compagno del grande creativo, che comunque in qualche modo bisognava sollazzare. E le cinque sirene Fendi in questo genere di acrobazie restano tuttora insuperate.
Tuttavia, un mezzo che sembrava tanto promettente alla resa si rivelò ogni volta sempre meno efficace della pedana: che con i suoi sbalzi di umore, dal vivo, restava il mezzo più efficace ed emotivo per la comunicazione dello Stile.
Miu Miu - Digital Fashion Show
Ma poiché sono solo le necessità a smuovere storia e idee, il Tempo, impietoso e insensibile com’è, non aspettava altro che questa dannata pandemia per svuotare le casse dello Stile nella gara a chi la spara più grossa, nell’imitazione arruffata del cinema d’autore; con o senza registi di nome, che naturalmente rimangono gli unici ad avvantaggiarsene per compensi e sciocchezze tollerate oltre ogni immaginazione.
E tutto questo perché? Perché di fondo lo stilista si sente costantemente in un’ingenua competizione con il mondo intero; e non tollererebbe mai di non avere almeno una cinese con cannolo, così da sentirsi una specie di Andy Warhol, alzando l’asticella di una innocente gara tra perfetti incompetenti.
E non si bada a spese: per rendersene conto basta scorgere i supponenti titoli di coda dei video in circolazione: centinaia di collaborazioni, da far impallidire i lavori dell’a questo punto parsimonioso e oculatoVisconti.
Rick Owens - Digital Fashion Show
Ovviamente, la più sfrenata si è rivelata anche questa volta la solita Riefenstahl di casa Dior: ormai un’oracolessa in ogni ambito. Incomprensibili, invece, le epilettiche interpreti del film di Van Noten: un dolente documentario – parrebbe – su un ex ospedale psichiatrico. Peccato, perché ilpoco che si è visto sembrava di qualità.
Qualcun altro a Venezia ha scoperto una pedana in mezzo al mare e così, senza capirci niente, ha continuato a sfilare come Pietro sul Lago di Genezaret. Intanto che l’immarcescibile Donatella, ormai prodiga con il denaro della nuova proprietà, costruiva un monumentale labirinto verticale, una bolgia cubista, perfino memore del felliniano Satyriconnella scena del bordello e del punitivo terremoto.
Miu Miu - Digital Fashion Show
Che dire poi della nordica Miu Miu, anch’essa nel solco della citatissima Riefenstahl ma qui nel suo primo periodo, quello alpino? (Ma anche un po’ Mike Bongiorno in vetta per la grappa Bocchino.) Assolutamente nel genere balthussiano, infine, le bionde cocotte Chanel: radunate su un redditizio marciapiede dalla maîtresse di casa (molto cinema noir).
E adesso si attende Gucci: stilista romano, tutto infarcito di voglia di cinema ma anche di liturgie post-quaresimali. Non si aspetta altro che quel fatale 15 aprile.
Perché? Perché la Moda nuda e cruda stanca, e cercando un altro linguaggio, anche se per stretta necessità, torna a credersi ancora al centro del mondo e della realtà. Meglio di tutti, anche se piccolissimi. Dunque, per ora cinema. E se la donna fu tratta da una costola di Adamo, da quella della Moda che cosa verrà fuori, anche se noiosissimo, pur di non perdere un centesimo?
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