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Nicola Lombardozzi per “il Giornale”
È scandaloso ma purtroppo capita spesso che i giornalisti vengano additati e messi all’indice per articoli non graditi. Questa volta c’è però qualcosa di peggio. Il Comitato per la Sicurezza Ucraina, massimo organo investigativo di Kiev, ha deciso di indagare ben 293 inviati che hanno firmato reportage dal Donbass negli ultimi due anni. Sono sospettati di «collaborazione con i terroristi secessionisti».
Le informazioni su queste presunte spie travestite da reporter, sono state pubblicamente offerte agli investigatori, e alle minacce dei soliti facinorosi da tastiera, da un sito internet autorevole, molto vicino al ministro dell’Interno di Kiev, Arsen Avakov.
Ci siamo dentro un po’ tutti. Chi scrive, altri giornalisti di Repubblica passati per l’Ucraina negli ultimi anni, i colleghi della Rai e del Corriere della Sera. Tutti in rigoroso ordine alfabetico insieme a giornalisti di tutto il mondo dagli Stati Uniti alla Germania, al Giappone. E tutti messi in piazza con tanto di nome, indirizzo privato, numero di cellulare personale.
E ci sono anche quattro giornalisti ucraini che vivono e lavorano in Patria, e che adesso sono certamente i più preoccupati per via di una circostanza inquietante. Nell’aprile dell’anno scorso il loro collega Oles Buzina fu infatti assassinato sotto casa subito dopo la pubblicazione, proprio sullo stesso sito, di un articolo che lo bollava come “antiucraino” e che forniva indirizzo, contatti privati, e perfino gli orari in cui era solito andare al lavoro. Buzina non è il solo.
Altri due colleghi ucraini, non allineati con la politica del governo post Majdan, sono stati uccisi in circostanze su cui nessuno ha mai indagato. Almeno cinque hanno denunciato pestaggi, minacce e atti di vandalismo. Altri sono fuggiti all’estero.
Al di là della inevitabile retorica sulla libertà di stampa e delle proteste diplomatiche di rito (tutti gli ambasciatori della Ue in Ucraina hanno chiesto l’immediata rimozione della lista nera dal sito che in serata è stato oscurato), la vicenda è dunque molto più seria di quanto possa sembrare. Il sito in questione si chiama mirotvorets che si potrebbe tradurre il Pacificatore.
Lo ha fondato e lo dirige Anton Gherascenko, deputato e consigliere personale del ministro Avakov, con un piano editoriale ben preciso scritto a chiare lettere sotto alla testata: “Centro di ricerca sui crimini contro le basi della sicurezza nazionale”.
Di fatto si occupa di fornire bersagli a quei “volontari” di estrema destra, carichi di simboli e riti nazisti, che percorrono il Paese con armi e bastoni minacciando di fare pulizia di ogni «nemico dell’ Ucraina e fiancheggiatore della Russia».
Da giorni i nomi dei giornalisti filtravano su altri siti meno attendibili e un po’ troppo estremisti per essere presi sul serio. Mirotvorets ha dato invece una sorta di bollo di autenticità a questa caccia alla spia. «Credetemi – diceva ieri il portavoce del Comitato per la Sicurezza – Con il tesserino di giornalista si può fare molto per raccogliere informazioni contro il nostro Paese. E faremo in modo che tutte le spie siano punite».
La cosa curiosa è che i giornalisti inseriti nell’elenco sono spesso finiti, e proprio per gli stessi articoli, su liste simili compilate da esaltati estremisti russi che invece ci considerano spie occidentali e «asserviti alla Cia».
È la fase estrema della guerra della propaganda. Ieri a Mosca, i 293 sono invece diventati improvvisamente «potenziali vittime della violenza ucraina». Abbiamo ricevuto la calda solidarietà della solitamente puntuta portavoce del Ministero degli Esteri, Maria Zakharova. E alcuni di noi sono stati intervistati in prima serata dal telegiornale di “ Russia 1”.
Il vostro cronista ha detto che «l’indagine di Kiev è scandalosa». E questo lo hanno sentito tutti. Poi ha aggiunto che «Anche in Russia abbiamo a volte ricevuto un trattamento simile». Ma questa frase, purtroppo, è saltata per “motivi tecnici”. La propaganda non conosce confini.
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