DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Lorenzo Sori per “la Stampa”
Migliaia di fan, la settimana scorsa, sono andati a San Diego per Comic-Con. Sono rimasti in coda per ore, e sono tornati a casa felici: Cate Blanchett li ha rassicurati che la sua Hela in Thor: Ragnarok sarà davvero cattiva; Gal Gadot ha confermato che sarà tra i protagonisti di Justice League; Ben Affleck ha giurato che non lascia Batman.
C'era pure Steven Spielberg, che con Ready Player One torna alla fantascienza, ma nulla ha creato tanta eccitazione quanto la presentazione di Blade Runner 2049, il seguito del classico di Ridley Scott. Trentacinque anni dopo, Harrison Ford torna a essere il detective Rick Deckard che forse era un replicante o forse no. Il suo obiettivo - hanno chiesto a Ford - è rivisitare tutti i grandi film che ha fatto? «Certo!», ha risposto lui scherzando ma non troppo. «Il film originale - ha detto - studiava utilità e etica dei replicanti. Ora sviluppiamo ulteriormente questi temi».
Accanto a Ford, c'è Ryan Gosling, un poliziotto del Los Angeles Police Department incaricato di dare la caccia ai replicanti. Jared Leto è il capo della Wallace Corporation, il cattivo della situazione. Alla regia Dennis Villeneuve, l'acclamato autore canadese di Sicario e Arrival. Villeneuve è cresciuto nel culti di Blade Runner e dice che quel film è la ragione per la quale fin da piccolo aveva deciso che un giorno sarebbe diventato regista.
Villeneuve, come è arrivato a «Blade Runner»? E ora che mancano due mesi all'uscita, quanto è in ansia?
«Stavo lavorando a un altro film, a Prisoners , quando Ridley Scott mi ha detto che voleva parlarmi di Blade Runner. Cosa? Ho subito pensato che fare un sequel fosse un'idea fantastica. E pessima. Mi ha emozionato la fiducia nei miei confronti, ma ho provato anche molta paura. Non ho detto subito di sì, anche perché avevo preso l'impegno di Arrival e non avevo ancora letto la sceneggiatura. È strano prendere in mano l'universo di qualcun altro, non volevo sentirmi come quello che disegna graffiti in chiesa, come un parassita nell'universo di altri. Volevo sentire che quell'universo sarebbe potuto diventare il mio. Solo a quel punto ho detto sì».
Quanto siete restati fedeli all'originale? E al suo spirito?
«Il film è decisamente fedele al primo. Il noir. L'estetica. È ancora una detective story esistenziale, con un' atmosfera forte, luci impressionistiche, molto giallo. Non mi sono mai preso un rischio simile, Blade Runner fa parte nostra cultura condivisa ed è politicamente molto delicato. Ma ogni film è un rischio. La mia linea è stata seguire non ciò che Ridley ci ha mostrato ma ciò che non ci aveva mostrato. È stato importante tenere il mistero aperto, con tutto ciò che fa parte del subconscio e dell' inconscio di Blade Runner».
Tra i misteri irrisolti c'è quello di Deckard: umano o replicante?
«Nel film originale, secondo Harrison Deckard è umano, per Ridley un replicante. Su questo litigano ancora oggi, dopo tutti questi anni! E io che dovevo fare? Per fortuna sono andato a rileggere il libro originale di Philip K. Dick. Nel libro tutti hanno dubbi sulla propria identità. Anche i detective devono fare il test, perché non lo sanno. E questo - che devi dubitare di te stesso - mi ha dato la chiave. La relazione con ciò che non conosci ha più forza ed è più stimolante delle certezze».
Il testimone passa da Harrison Ford a Ryan Gosling. Perché Ryan? E quanto importante è stato avere Harrison a bordo?
«Prima di tutto, Harrison c'era prima di me. È stato lui ad approvare me, non il contrario.
Ridley accarezzava da sempre l'idea di un seguito ma ci sono stati problemi di diritti e altre complicazioni. Harrison Ford, però, è sempre stato parte del progetto, fa parte del suo Dna. Quanto a Ryan, non è stata un'idea mia ma di Ridley e di Anton Fincher, che aveva scritto la versione originale e ha lavorato anche a questa sceneggiatura. Mi hanno detto che la decisione spettava a me, ma anche che stavano pensando a Ryan. Poi ho letto la sceneggiatura. E ho concordato che era la scelta giusta, senza dubbio».
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