CHI HA RIVELATO ROMA AI ROMANI È STATO UN NON ROMANO, UN VENETO: SILVIO NEGRO - CON I SUOI ARTICOLI E CON I SUOI LIBRI, HA INVENTATO L’INFORMAZIONE VATICANA

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Stefano Malatesta per “la Repubblica

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Roma è sempre stata affascinante e volgare, bellissima e laida, internazionale e provincialissima. Arbasino ricordava quelle prime volte che andava al mare a Ostia a fare il bagno e, passeggiando lungo la spiaggia, sentiva nell’aria come un ronzio di calabroni: erano i giovanotti romani che parlavano fittamente tra loro dicendo «cazzo, zozzo, borzetta». Roma “la ricotta” la chiamava Pasolini, una città apparentemente tremolante e instabile e sempre con il pericolo di liquefarsi, e tuttavia una città che si è conservata viva attraverso innumerevoli passaggi.

 

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La Roma rinascimentale, barocca, ottocentesca piemontese, guidata da papi guerrieri come Giulio II che, invece di dare le benedizioni urbi et orbi, era interessato soprattutto a imprese guerresche e a costruire chiese monumentali, come San Pietro che sembra un’icona del potere terreno della Santa sede.

 

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I romani erano quelli di sempre, immobili nel sarcasmo e nel cinismo, tenacemente legati al mestiere e al borgo nativo, tutti dediti a riti tribali che si svolgevano in loco. Giuliano Briganti, che abitava in via Giulia, ha raccontato che passeggiando con i suoi amici non gli veniva mai in mente di attraversare il Tevere da Ponte Sisto per arrivare a Trastevere, distante poche centinaia di metri. (...) Così i romani, anche quelli che si dicevano orgogliosi di essere nati a Roma, in realtà non conoscevano nulla della città e si perdevano nelle vie del centro che a loro sembrava un complicato labirinto. (...)

 

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Chi ha rivelato Roma ai romani è stato un non romano, un veneto, Silvio Negro, capo della redazione romana del Corriere della Sera e vaticanista di fama europea. Con i suoi articoli e con i suoi libri, Seconda Roma, Roma non basta una vita, Vaticano minore, che aveva vinto il Premio Bagutta nel ‘36, dopo Gadda, Palazzeschi e Comisso, Negro ha compiuto un’opera di grande rilievo, innalzando a livello letterario l’aneddotica romanesca e dando una patente di nobiltà agli scritti sulla capitale, senza mai cadere nel genere dialettale.

 

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Padroneggiava una prosa che si avvaleva di una conoscenza senza eguali della vita interna del Vaticano, all’epoca impenetrabile per i normali giornalisti. Questa sua capacità di ottenere notizie riservate, che altri non avevano e di muoversi con molta eleganza in un mondo complicato e difficile come quello del Vaticano, dove sotto l’ampia mantella dell’amore cristiano si nascondevano durissime lotte intestine, si deve al fatto che Negro aveva lavorato per due o tre anni all’interno delle mura vaticane, come redattore dell’Osservatore romano , chiamato a Roma da una sua vecchia conoscenza veneta, don Luigi Gerevini, un prete che era diventato caporedattore del giornale del Vaticano.

 

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Questa fu l’esperienza decisiva della sua vita. Quando il Corriere della Sera decise di nominare un corrispondente dal Vaticano, c’erano molti candidati, anche interni, a quel posto, ma Negro fu una scelta naturale, che s’imponeva. Al Corriere della Sera lavoravano solo i migliori. Avevano garantito per lui personaggi come Tommaso Gallarati Scotti e il Novello Papafava, molto vicino ai fratelli Crespi, quelli che avevano comprato il Corriere da Albertini, per ordine di Mussolini, e che confondeva Moravia con Montale. (...)

 

Negro fu uno dei trentotto redattori che abbandonò il giornale per non sottostare alla censura fascista. Fino a quel momento aveva pubblicato moltissimi articoli di genere descrittivo, in sintonia con gli elzeviri della terza pagina: pezzi scritti in punta di penna, come andavano allora, che avevano come modello Le corse al trotto o I pesci rossi di Emilio Cecchi, il più rinomato critico italiano che usava una lingua raffinata, che si esauriva in puro stile, quando non si poteva parlare d’altro.

 

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Gli articoli di Negro avevano quella qualità impalpabile, che è impossibile insegnare, chiamata leggibilità, erano eruditi, ma leggeri e stimolavano la curiosità e invogliavano il lettore ad andare di persona in quei luoghi misteriosi. I romanisti gli facevano la corte, ma lui cercò sempre di evitarli perché aveva il timore che l’incontro potesse finire in una carciofolata o in una partecipazione all’orrenda festa de noantri .

 

Non amava la cucina romana, che sembrava il prodotto di una cultura che aveva vissuto negli assedi e si cibava di scarti, come l’osso buco, l’intestino tenue ripulito e chiamato “pajata”, anche molti gatti fatti passare per conigli. Detestava i ceci e a tavola diceva sempre che quel cibo, che risaliva alla Roma antica, non sarebbe mai passato per la sua bocca. Lui preferiva la cucina veneta, come risi e bisi e il baccalà alla vicentina. Non amava nemmeno molto le trattorie, preferiva mangiare in casa.

 

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Da scapolo aveva vissuto in una stanza in affitto dietro Piazza del Popolo. Si era iscritto alla fine degli anni Venti al Partito nazionale fascista e per qualche tempo aveva portato all’occhiello “la cimice”, il distintivo del regime. Ma il suo era un fascismo molto blando e lui cercava di compensare la sua scarsa fede nel Duce con la simpatia. Era protetto da Aldo Borelli, un fascistone molto intelligente che scoprì quasi tutti i più brillanti giornalisti della generazione tra il fascismo e la guerra: Barzini j., Montanelli, Afeltra, David, Emanuelli, Napolitano, Vergani, Lilli, Laurenzi, Piovene e Buzzati. (...)

 

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È solo dopo il travaglio della guerra che Negro comprese che il metodo descrittivo non era più in grado di afferrare una realtà così spaventosa e cambiò modo di scrivere. Non pubblicherà più pezzi simili a quello sulla più maestosa piazza del mondo, Piazza san Pietro, che illustrava la forma e i colori delle vesti dei preti, i particolari storici e artistici dell’ambiente.

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Adesso di ogni avvenimento cercava di spiegare le ragioni e i precedenti, di non illustrare ma di interpretare ogni cosa. Con queste sue corrispondenze dalla Santa Sede nasce il vaticanismo moderno. Entro pochi anni, anche altri giornali — visto il successo degli articoli di Negro — manderanno i loro giornalisti in Vaticano. Negro muore nel ‘59, a poca distanza dall’apertura del Concilio Vaticano II. La nuova informazione vaticana, che una volta era soltanto sua, è diventata patrimonio di tutti. A dargli l’ultimo saluto, arrivò monsignor Montini, all’epoca sostituto alla segreteria di stato e futuro papa.