COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera”
Claudio Baglioni non ha il fisico, la voce, la storia di uno che fomenta politicamente le folle.
È un bravissimo cantautore che ha venduto milioni di dischi, ha un tratto romano un filo piacionesco, parecchi di noi conoscono a memoria molte delle sue canzoni - la più rivoluzionaria comincia così: «Quella sua maglietta fina/ Tanto stretta al punto che m' immaginavo tutto» - ed è talmente nazionalpopolare da aver condotto benissimo già lo scorso anno il più nazionalpopolare degli eventi italiani: il Festival di Sanremo.
Poi però martedì, presentando la prossima edizione, Baglioni ha un po' deviato dagli aspetti artistici, avventurandosi in qualche riflessione generale.
Ha parlato di un Paese privo di armonia, confuso, incattivito, rancoroso, ha detto che guardiamo con sospetto anche la nostra ombra. Quindi, incalzato sulla vicenda della Sea Watch e dei suoi passeggeri, ha aggiunto che «se non fosse drammatica, ci sarebbe da ridere. Non si può pensare di risolvere una situazione con milioni di persone in movimento evitando lo sbarco di quaranta esseri umani, li prendo io o li prendi tu. Siamo di fronte a un grande problema e dobbiamo metterci tutti nella condizione di risolverlo».
Le considerazioni di Baglioni paiono di puro buon senso. E anche perfettamente fedeli a una sua vecchia e nobile sensibilità: per anni è stato infatti l' organizzatore di O' Scià, una piccola prestigiosa festa della musica leggera allestita sull' isola di Lampedusa proprio per ricordare all' opinione pubblica il dramma dei migranti. Naturalmente, però, si può non essere d' accordo con il Baglioni pensiero (è il prezioso succo della democrazia: c' è chi la pensa in un modo, e chi in un altro).
Probabile che con scenari di politica interna meno nervosi e aggressivi, meno incerti e tormentati, certe dichiarazioni sarebbero rimaste a galleggiare nella magnifica bolla di buonismo che ha sempre reso il Festival un posto sicuro e perfettamente spensierato. L' anno passato - e certo che la memoria in politica è tutto - pure Matteo Salvini vi si aggirava raggiante, tenendo per mano la sua fidanzata dell' epoca, Elisa Isoardi (poi baciata, tra grida di evviva e applausi, sulla porta d' ingresso del teatro Ariston).
L' altro giorno, invece, letti i primi lanci delle agenzie di stampa che riferivano le frasi di Baglioni, il ministro dell' Interno ha subito reagito su Twitter (un tantino brusco?): «Canta che ti passa, lascia che di sicurezza, immigrazione e terrorismo si occupi chi ha il diritto e il dovere di farlo».
Certo che se la mettiamo su chi ha il diritto o meno di esprimere un pensiero sull' immigrazione e sul terrorismo, si fa però dura. A cominciare proprio da Salvini. Che, come è noto, ha idee precise un po' su tutto. Anche, per dire, sul Milan (sono settimane che vorrebbe esonerare il tecnico Rino Gattuso: e comunque Gattuso abbozza, perché - in fondo - persino nel calcio è bello stare in democrazia). Il punto vero è comunque un altro.
Da qualche ora, gli odiatori di professione che presidiano la rete, i cosiddetti «haters», hanno cominciato a usare i loro manganelli contro Claudio Baglioni (al solito: pochi firmandosi con nome e cognome, molti usando l' anonimato dei nickname e simboli vari, tra cui bandiere con il tricolore e slogan tipo «L' Italia agli italiani», «Me ne frego» e altra robetta così). Randellano, minacciano: e, soprattutto, invitano a boicottare il Festival.
Funzionerà?
Quasi certamente, no. Martedì 5 febbraio, alle ore 21, milioni di italiani saranno infatti, come sempre, al loro posto, davanti alla tivù. Curiosi, pettegoli e divertiti. Perché Sanremo è Sanremo (vecchia e logora, dolciastra ma carissima sigla di RaiUno).
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