DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Renato Franco per il Corriere della Sera
Ha dimostrato di avere talenti molteplici e svariati, una cifra brillante che molti non conoscevano, ma è con la cifra drammatica («in effetti reciticchio») che ha raccolto l' applauso più profondo: il monologo tratto da La notte poco prima delle foreste di Koltès è stato un momento intenso senza essere retorico, senza apparire come una scelta forzata nel codice musicale e leggero del Festival. A destra però l' intervento di Favino raccoglie dissensi, tra i più critici Salvini e Gasparri («penoso»).
«Ho portato questo spettacolo a teatro e ho invitato i miei compagni di Festival a vederlo. Sono stato io a chiedere se pensavano potesse essere un testo adatto a Sanremo e sono stati subito tutti favorevoli all' idea».
È un testo politico?
«Io non faccio politica, o meglio la faccio nella scelta delle cose che faccio. Ma sempre partendo dal presupposto che non sto sul piedistallo con la corona di alloro in testa per dare lezioni».
Salvini si è lamentato: «Al Festival i terremotati fanno meno notizia dei migranti».
«In realtà quel testo non parla di migranti, ma di estraneità, del sentirsi straniero in un Paese. È un discorso che vale anche per tutti i ragazzi italiani che sono costretti ad andare a lavorare all' estero per trovare opportunità: è importante sentire di appartenere a qualcosa, invece succede a tutti di sentirsi esclusi. È un testo che parla del lavoro e delle difficoltà che viviamo tutti i giorni; un brano scritto nel 1977, ma ancora attualissimo».
Spente le luci del Festival che sensazione le rimane addosso?
«Non riesco ancora a focalizzare le emozioni, è una sensazione strana, una stanchezza bella. Sono bersagliato da immagini che non riesco ancora a mettere in ordine. Ora mi passano davanti due fotografie: stare a gattoni sul palco con Claudio e l' abbraccio che ci siamo dati alla fine del monologo di sabato».
Si è preso una settimana prima di dire di sì a Baglioni.
«Sono felice di aver dato retta alla pancia e non alla testa: a un certo punto ho capito che ero titubante perché avevo paura del giudizio degli altri. Lì ho compreso che dovevo fare il Festival».
Cosa l' ha sorpresa di più di Baglioni?
«La sua generosità, la voglia di mettersi al servizio dello spettacolo, anche a fare la spalla, lui che è una celebrità assoluta della musica».
E di Michelle Hunziker?
«Per me è stata una colonna, sapevo che potevo appoggiarmi su di lei perché aveva lo scettro della conduzione. È ironica, simpatica, professionale: ha portato un modello di femminilità diverso e non decorativo».
Un suo pregio e un suo difetto?
«Il pregio credo sia la generosità, il darmi nelle cose che faccio. Il difetto è che sono eccessivamente puntiglioso e razionale».
Gli amici la chiamano Picchio, da dove nasce?
«È un soprannome che mi ha dato mio papà, per la mia vivacità. E da quando mio papà non c' è più sono ancora più legato a questo nome».
Cosa le piace della popolarità?
«L' affetto della gente, sarebbe ipocrita dire il contrario».
E cosa no?
«So che la perdita della privacy è il prezzo inevitabile della popolarità: mi piace anche l' ombra, sono tendenzialmente pudico e riservato».
Il medio e la mediocrità sono rimasti fuori dal Festival, eppure gli ascolti sono arrivati lo stesso.
«Io parto sempre dall' idea che chi ti guarda non è meno dotato di te. Sei tu che scegli di essere ascoltato dal pubblico e la tua forza deve essere saper comunicare per arrivare a tutti. Poi bisogna intendersi su cosa significhi popolare. Io penso che il testo di Koltès sia estremamente popolare».
2. IL DESTINO DI KOLTES
Leonardo Martinelli per la Stampa
Che strano destino, forse anche ingiusto quello di Bernard-Marie Koltès. Drammaturgo, pasoliniano nella vita e nelle opere, giramondo squattrinato tra l' Africa, New York e l' America latina, prima di assaporare un briciolo di successo alla fine della sua vita (se ne andò, vittima dell' Aids, a 41 anni nell' aprile 1989) collaborando con Patrice Chéreau, attore e regista, fondatore del teatro degli Amandiers, nella periferia parigina. Strano destino, perché dopo la morte è diventato uno degli autori francesi di teatro più rappresentati nel mondo. E perché si è ritrovato addirittura sul palcoscenico nazionalpopolare di Sanremo.
Sì, grazie al monologo interpretato da Pierfrancesco Favino, tratto da La notte poco prima delle foreste , dove un uomo, uno straniero, parla a uno sconosciuto incontrato su un marciapiede e cerca di trattenerlo, affannosamente e affettuosamente. Favino l' ha portato in giro per l' Italia fino a poche settimane fa. È un buon esempio del teatro di Koltès, che dà sempre voce all' emarginazione e all' affanno di vivere.
Quel monologo lo propose per la prima volta alla sezione off del festival di Avignone nel 1977. Koltès era nato in una famiglia borghese della grigia Metz, figlio di un militare, oppresso da quell' ambiente. Una sera vide in scena Maria Casares interpretare la Medea . Capì che scrivere per il teatro sarebbe diventata la sua vita. La stessa Casares, di origini spagnole, diva della Francia del Dopoguerra e amante di Camus, lesse alcune sue pièces sperimentali alla radio.
Bello dalla faccia d' angelo, Koltès, irrequieto e irascibile, ma pure vivo e solare viaggiava e scrivendo lettere ad amici e familiari (e cercando di spiegare all' amata madre la sua omosessualità).
Chéreau lo renderà famoso mettendo in scena Lotta di negro e cani (nel 1983) e Nella solitudine dei campi di cotone (nel 1987). Koltès gli aveva proposto anche La notte poco prima delle foreste , ma Chéreau gli ripeteva: «Non riesco a capirlo questo testo». Ne farà uno spettacolo solo nel 2011. Strano destino, è appena finito a Sanremo.
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