DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
Alessandro Da Rold per la Verità
A un certo punto, dopo il secondo caffè con metà bustina di zucchero di canna, Eduard Limonov, scrittore, poeta, politico, ex maggiordomo, uomo dalle cento vite nonché fondatore del Partito nazionalbolscevico in Russia, prende in mano una cartina dell' Europa dove sono indicati tutti i focolai di ribellione, dove le minoranze rivendicano la loro autonomia, dalla Corsica ai Paesi Baschi, dalla Lombardia fino al Nord Est dell' Ucraina. Lì c' è la sua Kharhov, dove è cresciuto da piccolo. «È una città russa con un milione e mezzo di abitanti, che arriva a 22 milioni se si calcolano i sobborghi.
Si trova a 26 chilometri dal confine. Non ho mai perdonato al governo russo di aver lasciato soffocare l' insurrezione di Kharkov. Non l' ha sostenuta, da piccoli ci costringevano a imparare l' ucraino, la storia e la lingua. Ma noi siamo russi».
Da due giorni Limonov è in terra lombarda, leghista, quella delle origini della Lega Nord di Umberto Bossi, ora diventata la nuova Lega di Matteo Salvini, in queste ore impegnato nella formazione del governo con il Movimento 5 stelle.
«Spero che Salvini contribuisca a staccare l' Italia e l' Europa dalla dipendenza nei confronti degli Stati Uniti» spiega alla Verità (che lui, ridendo, chiama Pravda). «Ma soprattutto spero che cambi i rapporti con la Russia, siamo un paese di 118 milioni di abitanti, siamo il più popoloso Stato europeo». Domenica sera ha tenuto una conferenza stampa e si è fermato a cenare al Ra Ca' dur Barlich, punto di riferimento per l' associazione Terra Insubre che ha a cuore l' Insubria e la Padania. Qui Limonov ha bevuto vino rosso, mangiato spezzatino con i funghi e ha sparato contro gli Usa («Spero che i messicani abbattano il muro e spazzino via per sempre il loro potere»), poi ha ricordato gli anni in carcere («Può darsi che io sia pazzo, ma mi è piaciuto stare in carcere. L' ho vissuto come un monastero. Sono diventato più saggio. È il luogo in cui l' uomo si incontra col caos ultraterreno»).
Infine ha parlato anche del suo periodo in Italia («Sono passato di qui qualche mese prima di partire per gli Stati Uniti negli anni Settanta, c' erano un sacco di manifestazioni, un clima bellissimo»).
Accompagnato dall' editore Sandro Teti, sta presentando la sua biografia da poco uscita in Italia, Zona Industriale (Sandro Teti Editore). Di quello che ha scritto Emmanuel Carrère su di lui gli importa poco («Mi sono fermato a pagina 37 del libro»), più che altro tiene alla sua, di opera. E Teti - che ha pubblicato in Italia anche Russofobia di Guy Mettan - tra una battuta e l' altra ci spiega che portarlo da noi non è stato semplice. «Aveva paura di uscire dalla Russia, perché il tribunale dell' Aja lo arrestasse per aver partecipato in passato a tante guerre». Ma, alla fine, nonostante quel video durante la guerra in Jugoslavia dove viene immortalato mentre spara su Sarajevo al fianco di Radovan Karadzic, c' è riuscito.
Quindi, Limonov, secondo lei perché in Italia c' è così grande attenzione al suo personaggio?
«Devo ammettere che non mi sarei aspettato un' accoglienza di questo livello. Certo ho pensato che comunque avrei suscitato grande interesse».
Perché?
«Perché in Italia a persone come me non viene data la parola, qui vengono invitati soprattutto liberisti e liberali, mentre io mi considero un imperialista».
Vorrebbe anche lei come sostiene il filosofo Alain de Benoist, che l' Europa diventasse un impero?
«Conosco bene de Benoist, sono stato a casa sua spesso.
Faceva parte del giornale L' Idiot International, con Michel Houellebecq. Era nel consiglio di redazione e come altri, c' erano molti giovani scrittori che adesso hanno avuto grande successo».
Avete le stesse idee sull' Europa?
«Lui ha le sue idee sulla politica europea, sono giuste, ma spesso le sue idee non costituiscono lo stato dei fatti, la realtà».
In che senso?
«Lui per esempio mi vuole sempre convincere che l' alleanza tra Russia e Germania è naturale. E io gli rispondo sempre che in entrambe le guerre mondiali ci siamo scontrati. Ma lui mi risponde che in entrambi i casi è stata colpa della Gran Bretagna».
Ora con la Brexit forse sarà più semplice.
«Dopo la Brexit era molto contento, perché le sue idee hanno ritrovato vigore. Ma lo dico chiaro e tondo: la Russia non ha né le forze né i mezzi né il desiderio di soggiogare l' Europa. Addirittura ci sono forze nel nostro Paese che non vogliono più rimanere nel Caucaso, molti dei popoli caucasici sono molto lontani da noi».
E a chi dice che la Russia vuole riprendersi i vecchi territori dell' Unione Sovietica cosa risponde?
«Guardi, io le dico questo: la stragrande maggioranza dei russi si disinteressa di Lettoni, Estonia, Polonia. A noi non interessa. Il popolo russo non ha alcun interesse ad aggredire queste regioni. Sono menzogne create ad arte per screditare. Noi, come partito, vorremmo che la popolazione russa del Kazakhstan del Nord e dell' Ucraina potessero ricongiungersi alla madre patria, ma noi non abbiamo mira sull' Ucraina».
Gli ultras russi, i cosiddetti hooligan, sono però i più temuti in Europa.
«Quella del tifo russo è una forma di autoidentificazione a livello popolare, di autoaffermazione. Loro vogliono far vedere che noi siamo i più forti, si sono fatti vedere durante il campionato europeo di calcio in Francia. Rispettano i tifosi polacchi perché si picchiano a mani nude».
Ne conosce molti?
«Nel nostro partito ci sono molti ultras come anche nella mia scorta personale. A Kharkov c' è una squadra, i Metalist, ma si sono purtroppo schierati con l' Ucraina. Poi ci sono i Gladiatori dello Spartak Mosca. Un giorno li hanno pagati per attaccare i nostri militanti. Poi si sono scusati, perché non sapevano neppure chi fossimo. Sono molto disomogenei al loro interno e non hanno un partito di riferimento, anche perché su di loro c' è una forte pressione da parte della polizia e dei servizi di sicurezza. Il nostro governo vuole avere il controllo su tutto».
Anche sulla libertà di stampa il governo vuole il controllo totale?
«Noi abbiamo la libertà di stampa (lo dice due volte e quasi si arrabbia - ndr). Abbiamo numerosi media di diverso orientamento che appartengono a diversi gruppi politici.
Guardi, sarò chiaro: la maggior parte dei media russi sono molto liberali».
Eppure sono tanti i giornalisti morti in Russia in questi anni, sin dai tempi di Anna Politkovskaya. È una lista lunghissima.
sandro teti roberto d agostino eduard limonov e olga mazzina
«Questo può capitare, ma sono diminuiti molto. Io so solo una cosa: il governo sta facendo di tutto per evitare omicidi di giornalisti. Il caso della Politkoskovia è stato un boomerang per Putin, perché ne ha danneggiato l' immagine. Io lo so, lei è stata fatta fuori da gente del Caucaso, dai ceceni».
E tutti gli altri?
«Spesso succede anche per semplici motivi personali».
Lei negli anni '90 lanciò il giornale Limonka, veniva molto letto dai giovani russi. Ora cosa pensa delle nuove generazioni?
«Sono cambiate tante cose, la stampa cartacea non suscita più l' interesse di una volta.
C' è stata una grande rivoluzione tecnologica anche nel nostro Paese. C' è stato un cambio generazionale. E il nostro partito, purtroppo, non ha più le risorse di una volta. Del resto, il mio è stato vietato nel 2007 prima ancora che mettessero al bando le organizzazioni islamiche e terroristiche»
All' epoca l' impatto fu diverso.
«C' era un fortissimo movimento punk. Si iscrissero decine di migliaia di persone al nostro partito. C' era pure Igor Letov un idolo per i giovani che ora purtroppo è morto».
Le nuove tecnologie però vengono ostacolate dal governo, poche settimane fa in molti sono scesi in piazza per protestare contro la chiusura di Telegram.
«Non credo che la gente scesa in piazza possa far nascere un nuovo movimento politico.
Pavel Durov, il proprietario di Telegram, è un miliardario e quindi penso che nessuno si strapperà le vesti per lui».
Lei sostiene da tempo che Putin sia controllato dagli oligarchi.
«No, io dico che Putin è controllato da un gruppo di persone. È una parte del potere che ha un rapporto di interdipendenza dal presidente. Quello che voglio dire è che Putin non può prendere decisioni perché è costretto a consultarsi con altri».
Secondo lei esiste un successore di Putin?
«Non ci sono buoni eredi, Medvedev gli è molto fedele ma non credo basti. Ci sono altri gruppi che si stanno muovendo per prendere il potere».
Per esempio?
«Penso all' Alfa group di Mikhail Maratovich Fridman o il banchiere Alexandere Lebedev. Hanno patrimoni immensi di miliardi di dollari.Loro hanno finanziato Alexei Navalny, il principale oppositore di Putin. In realtà Navalny fa parte del sistema, non si spiegherebbe sennò perché passa solo una notte in carcere dove in casi analoghi bisogna farsi almeno tre anni di galera».
La Russia è destinata a diventare capitalista, possiamo dire che il nazionalbolscevismo ha perso?
«È vero. Abbiamo perso tutti. Ci troviamo in difficoltà.Dopo l' unificazione della Crimea alla Russia il potere ha mutato la sua ideologia e ci ha depotenziati. E anche io ormai sono troppo vecchio».
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