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Giordano Tedoldi per Libero Quotidiano
L' influenza sulla cultura italiana del secondo novecento di Fernanda Pivano, di cui ieri si è festeggiato il centenario della nascita a Genova è incalcolabile. In campo letterario, è stata l' unica intellettuale italiana che abbia entusiasticamente, spudoratamente abbracciato la cultura pop americana, senza sogguardarla con il cipiglio dell' europeo colonizzato. Dunque è stata l' unica che l' abbia veramente capita.
Ricondurla alla beat generation, che è stata una parentesi del pop, aperta e chiusa negli anni '60, è riduttivo. D' altronde, rievocare tutti gli autori che ha importato in Italia, da Edgar Lee Masters (sua la prima, immensamente popolare traduzione della Antologia di Spoon River) a Hemingway a Bret Easton Ellis, è persino stucchevole. Come stucchevole è riandare allo sfondamento pop e anti-elitario del confine tra poesia e canzone, una battaglia che Pivano sosteneva decenni prima che un Nobel per la letteratura a Dylan fosse pensabile, con la fede della neoconvertita.
Perché non si può capire il sentimento di apostolato messianico che animò questa straordinaria donna al contatto col mito americano della frontiera, se non si coglie quanta angusta chiusura deve aver avvertito la sua straordinaria sensibilità nell' Italia del secondo dopoguerra, divisa tra le due rigide ortodossie cattoliche e comuniste.
Il pop, che è un movimento profondamente nichilistico, come ben vide Pivano, non poteva attecchire tra croci e falci e martello.
Perciò eroico fu lo sforzo di Fernanda Pivano nel fare breccia con i suoi Hemingway eroico-suicidali, con i suoi beat drogati e votati all' olocausto giovane, con i suoi lisergici distruttori di una tradizione - letteraria, musicale - che qui da noi, allora, sapeva mettere gli avversari in riga, magari con le maniere forti, con la censura, con le condanne in tribunale. Già quando, negli anni '80, si fece profeta dei Jay McInerney, Bret Easton Ellis, il mondo era mutato, fondamentalmente si trattava più di business che di letteratura.
pivano - Peter-Orlovsky-Allen-Ginsberg-e-Gregory-Corso
L' America che aveva trionfato non era quella di Hemingway e Faulkner e Dylan, che piace tanto a noi europei perché la mitizziamo grazie alla distanza di un oceano, era quella di Reagan, della musica senz' anima di drum machines e sintetizzatori irrogata da band da videoclip che duravano una sola stagione: stupri acustici ben più traumatici di quelli che, ricorda la Pivano, produsse il poeta beat Gregory Corso quando, a casa sua, malmenò l' amato pianoforte Pleyel su cui lei giovanetta di buona famiglia suonava Bach.
ettore sottsass e fernanda pivano
Ma un omaggio a una figura così importante non sarebbe equo senza i lati oscuri. Si è detto del nichilismo peculiare di quell' ondata di artisti e scrittori che ella amò: la Pivano lo aveva visto con lucidità ma, per timore di perdere la battaglia culturale, lo nascose. Ecco così che uomini che avevano una confusione mentale enorme poterono assurgere a maestri di vita; il dubbio mortale spacciato per ideale futuro. E le traduzioni: pionieristiche, dilettantesche. Ma ciò detto, è giusto innalzarle un monumento.
PIVANOPIVANO DEANDREpivano e neal cassady-1962fernanda pivanopivano e alice b.toklasPIVANO 1960PIVANO '66pivano con lou reedPIVANO CON GINSBERGPIVANO E GREGORY CORSO-1960PIVANO KEROUAC
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